I commenti del fondatore di TSMC durante la cerimonia di installazione della prima attrezzatura di produzione presso lo stabilimento in costruzione di TSMC di Phoenix.
Il padre dell’industria dei chip di Taiwan ha affermato che la geopolitica ha cambiato drasticamente la situazione che devono affrontare i produttori di semiconduttori e ha constatato che “la globalizzazione e il libero scambio sono quasi morti” ed è molto improbabile che tornino.
Martedì scorso, nel suo discorso durante la cerimonia del cosiddetto “tool-in”, l’installazione della prima attrezzatura di produzione presso lo stabilimento in costruzione di TSMC di Phoenix, in Arizona, alla quale hanno partecipato il presidente USA Joe Biden, i dirigenti di TSMC e gli esponenti delle principali aziende di semiconduttori degli Stati Uniti, Morris Chang, il novantunenne fondatore di TSMC, ha voluto esprimere, con la solita franchezza, la sua opinione sull’evoluzione del mercato globale dei semiconduttori. Parlando dello stabilimento di TSMC in costruzione a Phoenix, Chang ha affermato che è rimasto ancora molto “duro lavoro da fare” per rendere questa iniziativa un successo ed ha paragonato i nuovi investimenti per 40 miliardi di dollari sul suolo americano annunciati lo stesso martedì a quando TSMC costruì il suo primo impianto negli Stati Uniti a Camas, Washington, nel 1995, appena otto anni dopo la fondazione della società, la prima a al mondo, insieme a UMC, ad offrire servizi di fonderia a contratto.
“Sono passati ventisette anni e l’industria dei semiconduttori ha intrapreso un cambiamento epocale sulla spinta dei nuovi equilibri geopolitici”, ha detto Chang. “La globalizzazione è quasi morta, il libero scambio è quasi morto. Molte persone desiderano ancora che tornino, ma non credo che torneranno“.
Le sue considerazioni arrivano in un momento di crescente tensione tra Washington e Pechino, in particolare dopo le recenti restrizioni imposte dal governo americano all’esportazione di tecnologia avanzata verso la Cina. Una situazione che rende sempre più difficile per aziende come TSMC lavorare con i clienti cinesi.
Chang ha detto di aver sempre sognato di costruire un impianto di chip negli Stati Uniti, dopo aver studiato e lavorato per decenni negli USA. Ma la sua prima esperienza non è andata bene.
“Il primo impianto ha avuto problemi di costo e di personale ma soprattutto di incomprensioni culturali, diventando ben presto un incubo che mi ha costretto a rimandare il mio sogno”.
Nei decenni successivi, TSMC si è concentrata sullo sviluppo di una capacità di produzione di chip all’avanguardia nel proprio mercato interno, una strategia che ha aiutato l’azienda a contenere i costi affinando continuamente il proprio know-how tecnologico.
Chang ha affermato che questa volta TSMC è molto più “preparata” rispetto al passato, grazie anche al sostegno del governo degli Stati Uniti. “Il romanticismo dell’inizio è ormai un ricordo e l’eccitazione iniziale è svanita. Rimane solo molto duro lavoro da fare“.
Le preoccupazioni per la sicurezza nazionale e problemi di approvvigionamento hanno spinto il governo di Washington a lavorare per riportare la produzione di chip sul suolo americano.
Oltre a Morris Chang, molti alti dirigenti dell’industria dei semiconduttori concordano con l’anziano leader di TSMC che l’era della globalizzazione sta arretrando e che l’approvvigionamento locale è ora una priorità assoluta, da Lisa Su di AMD a Tim Cock di Apple a Jensen Huang di Nvidia.
Nel seguente video, l’intervento di Morris Chang e quello di tutti gli altri protagonisti della cerimonia di “tool-in” del nuovo stabilimento di TSMC di Phoenix: