Le nuove misure, alcune delle quali hanno effetto immediato, vietano la vendita alla Cina di molti microchip avanzati realizzati con tecnologia statunitense, da chiunque vengano prodotti, ampliando, di fatto, a tutti i produttori globali le restrizioni già in vigore per le aziende statunitensi. Le nuove misure hanno provocato un forte calo di tutti i titoli del settore, con il Philadelphia Semiconductor Index che li rappresenta che venerdì ha perso oltre il 6%.
Alcune notizie che segnalavano una forte crescita delle aziende cinesi dei semiconduttori non potevano lasciare indifferente l’Amministrazione americana che da tempo considera il settore dei semiconduttori strategico per la sicurezza nazionale e vitale per la propria supremazia tecnologica.
Ce ne eravamo occupati anche noi, segnalando la capacità – seppure limitata – di SMIC, la principale fonderia cinese, di produrre chip con nodo di processo a 7 nm, nonché i progressi dell’industria cinese delle memorie, con YMTC che aveva annunciato di aver messo a punto una NAND 3D a 232 layer.
Le nuove norme interessano anche i supercomputer (erano nell’aria da tempo) tanto che le entità cinesi avevano smesso di fornire le informazioni necessarie per stilare la classifica TOP 500 dei più avanzati supercomputer nel timore che i progressi in questo campo avrebbero suscitato ulteriori preoccupazioni da parte dell’amministrazione USA. Ricordiamo che i supercomputer sono vitali nelle ricerche più avanzate, comprese quelle in campo militare.
Ad anticipare il giro di vite annunciato ieri erano state le lettere inviate alcune settimane fa dal Dipartimento del Commercio ai principali produttori USA di impianti per la fabbricazione di chip KLA, Lam Research e Applied Materials; con quelle lettere si vietava l’esportazione verso la Cina di apparecchiature utilizzate nella produzione di chip con nodo di processo inferiore a 14 nm.
Agli inizi di settembre la Casa Bianca aveva anche vietato la vendita a clienti cinesi dei più avanzati processori di Nvidia (N100 e A100 AI) e di AMD (MI250).
Le nuove norme emanate ieri, mirano ad impedire alle aziende straniere (oltre che a quelle americane) di vendere chip avanzati in Cina o fornire alle aziende cinesi strumenti per creare i propri chip avanzati. Queste norme potrebbero rallentare notevolmente l’industria cinese dei semiconduttori costringendo le aziende americane e straniere che utilizzano la tecnologia statunitense a tagliare il supporto ad alcune delle principali fabbriche cinesi e alle aziende che progettano chip.
Per quanto riguarda le apparecchiature per la produzione di chip, in base alle nuove regole, è necessaria una licenza per spedire apparecchiature in grado di realizzare processori e altri chip logici che utilizzano tecnologie a 14/16 nanometri o ancora più avanzate; per le DRAM il limite è quello dei 18 nm, mentre per le memorie flash NAND le regole si applicano a attrezzature in grado di produrre chip con 128 o più strati.
“Il governo della Repubblica Popolare Cinese sta tentando di utilizzare molte tecnologie civili, in particolare l’informatica, l’intelligenza artificiale, le comunicazioni e i supercomputer nei programmi militari nonché in altre aree come la sorveglianza, collegata alla violazione dei diritti umani“, ha detto un alto funzionario del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti durante la presentazione delle nuove restrizioni che arrivano a poche settimane di distanza dai recenti provvedimenti legislativi, federali e statali, a sostegno dell’industria nazionale dei semiconduttori che hanno lo scopo principale di riportare la manifattura dei chip sul suolo nazionale.
Da oltre un decennio la Cina sta investendo ingenti risorse per raggiungere l’autosufficienza tecnologica e produttiva in questo settore considerato strategico per il paese dal Partito Comunista Cinese che guida il paese dal 1949. Attualmente le aziende cinesi del settore hanno una quota di circa il 5÷6% del mercato globale, con tecnologie di almeno tre generazioni più vecchie rispetto alle tecnologie occidentali più avanzate.
Per contro, la Cina è il primo mercato al mondo per consumo di semiconduttori, con importazioni del valore di circa 300 miliardi di dollari, il 60% del mercato mondiale dei chip; va da sé che la Cina rappresenta il mercato più importante per molti produttori di semiconduttori e per i fornitori di attrezzature, software e materiali necessari ad alimentare questa industria. Per questo motivo le nuove restrizioni potrebbero danneggiare in primis proprio l’industria statunitense dei chip, e, a cascata, tutti i produttori mondiali, a scapito di vendite e profitti. Una possibilità molto reale che arriva, oltretutto, in un momento in cui la crescita in questo settore sta rallentando in maniera significativa. Ecco spiegato il calo di oltre il 6% di venerdì dell’indice PHLX, con aziende che hanno perso molto di più come AMD (-13,87%), Marvell (-11,70 %), Synaptics (-10.68%) e NVIDIA (-8.03%).
Lo strumento utilizzato dal Governo USA per mettere in atto le nuove restrizioni è la norma denominata FDPR (Foreign Direct Product Rule) che consente alle autorità americane di estendere i propri poteri di controllo delle esportazioni ben oltre i confini nazionali. In pratica, questa norma sancisce che se un prodotto è stato realizzato utilizzando tecnologia americana, il governo degli Stati Uniti ha il potere di impedirne la vendita, compresi i prodotti realizzati in un paese straniero o da aziende straniere.
Introdotta per la prima volta nel 1959, questa disposizione trae origine dalle rigide normative in vigore durante la guerra fredda.
Questa normativa è stata utilizzata in passato nei confronti di Huawei, dopo che le prime restrizioni americane di chip verso l’azienda cinese avevano dato scarsi risultati a causa dei semiconduttori prodotti in fabbriche al di fuori degli Stati Uniti che continuavano ad alimentare l’attività di Huawei.
Applicando l’FPDR le autorità di regolamentazione statunitensi sono riuscite a bloccare quasi completamente l’attività della società cinese, così come sono riuscite a bloccare le forniture di chip alla Russia e alla Bielorussia dopo l’invasione dell’Ucraina.
Tra i provvedimenti annunciati venerdì, l’inserimento di 30 società ed enti cinesi, tra cui il produttore di memorie YMTC, all’elenco denominato “unable to inspect”, un elenco di entità che i funzionari statunitensi non hanno potuto ispezionare, e che prelude al loro inserimento, entro 60 giorni, nella “entity list”, le società verso le quali è vietata l’esportazione, diretta o indiretta, di prodotti e tecnologie americane.
Le aziende vengono aggiunte all’elenco “unable to inspect” quando le autorità statunitensi non hanno potuto completare le visite in loco per determinare per quali fini viene utilizzata la tecnologia americana; come prima conseguenza i fornitori, americani o stranieri, che vendono i loro prodotti o servizi a queste società debbono valutate con particolare attenzione lo scopo finale della fornitura.
Le nuove norme limitano anche l’esportazione di apparecchiature statunitensi ai produttori di chip di memoria cinesi come Yangtze Memory Technologies (YMTC) e ChangXin Memory Technologies, e le spedizioni di un’ampia gamma di chip utilizzati nei supercomputer cinesi, supercomputer che ora vengono identificati con maggior precisione. Per le autorità americane appartengono a questa categoria i sistemi con più di 100 petaflop di potenza di calcolo in uno spazio di 6.400 piedi quadrati, una definizione che potrebbe colpire anche alcuni data center commerciali.
Per la prima volta le restrizioni riguardano anche le persone che lavorano in questo settore: sia i cittadini americani che gli stranieri con permesso di soggiorno permanente, dovranno ottenere una licenza per lavorare per qualsiasi azienda cinese che sviluppa o produce semiconduttori che soddisfano criteri specifici. Questa norma potrebbe essere dirompente per l’industria cinese dei semiconduttori, dato il numero di cinesi americani che lavorano in questo settore.
Secondo la maggior parte degli osservatori, le nuove restrizioni – soprattutto se applicate alla lettera dalle aziende straniere – avranno la capacità di bloccare la crescita dell’industria cinese dei semiconduttori, industria che senza la tecnologia occidentale avrà bisogno dai 5 ai 10 anni per recuperare l’attuale gap con l’Occidente. Il quale, nel frattempo, non resterà fermo.
Le nuove norme, tuttavia, potrebbero danneggiare pesantemente anche l’industria americana dei chip, come sempre avviene quando si parla di sanzioni o restrizioni. “I controlli unilaterali che stiamo mettendo in atto perderanno efficacia nel tempo se altri paesi non si uniranno a noi“, ha affermato un funzionario governativo americano. “Rischiando così di danneggiare la leadership tecnologica degli Stati Uniti se i concorrenti stranieri non saranno soggetti a controlli simili“.
Le reazioni alle nuove disposizioni americane non si sono fatte attendere.
Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning ha definito la mossa un abuso delle misure commerciali, volta a rafforzare unicamente l’egemonia tecnologica degli Stati Uniti.
Il governo taiwanese ha dichiarato che le società di semiconduttori dell’isola attribuiscono “grande importanza” al rispetto della legge, segnalando che si conformeranno ai nuovi controlli sulle esportazioni statunitensi.
Da parte sua il ministero dell’industria della Corea del Sud ha dichiarato che non ci saranno interruzioni significative nella fornitura di apparecchiature per la produzione di chip nei confronti degli stabilimenti che Samsung e SK Hynix posseggono in Cina. E per ridurre al minimo l’incertezza sulle nuove regole, il ministero auspica consultazioni con le autorità di controllo delle esportazioni statunitensi.
La Semiconductor Industry Association (SIA), l’organizzazione che rappresenta i produttori di semiconduttori a livello globale ha dichiarato che sta studiando le nuove norme ed ha esortato gli Stati Uniti a “implementare le regole in modo mirato – e in collaborazione con i partner internazionali – per contribuire a livellare il campo di gioco“.
Sta di fatto che le prime conseguenze delle nuove norme si sono fatte sentire nei portafogli degli investitori globali, con le azioni delle società di semiconduttori che sono scese di oltre il 6%. In Europa, STMicroelectronics ha perso il 5,30%, Infineon Technologies è arretrata del 3,65% e NXP Semiconductors ha lasciato sul campo il 4,55%.
Il forte calo di STMicroelectronics è anche da mettere in relazione ai dati preliminari del terzo trimestre di AMD, che segnala vendite per circa 5,6 miliardi di dollari contri i 6,7 miliardi di dollari previsti in precedenza, nonché alle vendite sottotono del nuovo iPhone 14 con l’annullamento da parte di Apple di forniture extra. Ricordiamo che Apple è il primo cliente per STMicroelectronics.