A partire dal 1° agosto, le esportazioni di gallio, germanio e diversi altri composti industriali saranno soggette a restrizioni al fine di “salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali”, ha annunciato oggi il Ministero del Commercio e dell’Amministrazione doganale cinese.
Le nuove regole sono una ritorsione, per nulla velata, alle restrizioni di molti paesi del blocco Occidentale alle esportazioni di tecnologia avanzata nei confronti di Pechino. La Cina intende sfruttare la sua posizione dominante nella produzione di gallio e germanio per tentare di condizionare, ammorbidendole, le sempre più severe norme all’esportazione che Stati Uniti, Giappone e Olanda stanno per adottare.
Nelle intenzioni di Pechino si tratta di una potenziale merce di scambio da utilizzare per tentare di convincere gli Stati Uniti e l’Occidente a revocare alcune delle nuove restrizioni sulle esportazioni di semiconduttori e attrezzature per la produzione di chip.
La Cina è il più grande produttore mondiale dei due elementi, con oltre il 95% della produzione mondiale di gallio e il 67% della produzione di germanio.
Secondo un recente rapporto del US Geological Survey and Department of the Interior, tra il 2018 e il 2021, il 53% delle importazioni statunitensi di gallio proveniva dalla Cina, seguite da Germania e Giappone con il 13% ciascuno, l’Ucraina con il 5% e altri con il 16%.
Nel 2022, le importazioni di gallio metallico sono aumentate di circa il 34% rispetto a quelle del 2021 interessando un po’ tutti i paesi produttori: Canada, Cina, Slovacchia e Regno Unito.
Per quanto riguarda le importazioni americane di germanio, la Cina rappresentava il 54%, seguita da Belgio (27%), Germania (9%), Russia (8%) e altri paesi ancora.
Gli Stati Uniti, così come molti altri paesi alleati, dall’Europa all’Australia, dispongono di importanti giacimenti di questi metalli, che in tutti questi anni sono stati sfruttati marginalmente a causa del minore prezzo di lavorazione garantito dalle industrie cinesi. Il materiale grezzo estratto dalle (poche) miniere dei paesi occidentali ancora aperte, viene solitamente inviato in Cina per la raffinazione e poi riacquistato sotto forma di metallo o ossido adatto all’industria dei semiconduttori.
Secondo la maggior parte degli analisti, ci vorrebbe molto tempo e investimenti considerevoli per ricreare anche solo una parte delle catene di approvvigionamento di questi e di altri materiali critici.
L’annuncio delle restrizioni cinesi è arrivato poche ore dopo che è stato reso pubblico il programma della visita in Cina del segretario al Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen.
“La Segretaria Yellen discuterà con i funzionari cinesi dell’importanza per i nostri paesi, in quanto le due maggiori economie mondiali, di gestire responsabilmente le nostre relazioni, comunicare direttamente sulle aree di interesse e lavorare insieme per affrontare le sfide globali”, si legge in un comunicato del Dipartimento del Tesoro americano.
Per quanto riguarda l’impatto diretto sull’industria globale dei semiconduttori, presumibilmente le restrizioni cinesi non colpiranno il bersaglio principale, ovvero gli Stati Uniti, la cui industria manifatturiera dei chip vale appena il 12% della produzione mondiale; la stessa considerazione vale anche per l’Europa la cui fetta di mercato globale è del 9%.
Le maggiori conseguenze potrebbero riguardare Taiwan e la Corea del Sud che insieme producono circa il 50% dei chip e che sono i maggiori importatori di gallio e germanio ma che dispongono tuttavia di catene di fornitura più articolate e resilienti e che hanno accumulato consistenti scorte di questi e altri materiali critici.
Nel frattempo, il China Daily, di proprietà statale, ha descritto la mossa di Pechino come “giusta e virtuosa”. “Coloro che dubitano della decisione della Cina potrebbero chiedere al governo degli Stati Uniti perché detiene le più grandi miniere di germanio del mondo, ma raramente le sfrutta“, è riportato in un editoriale. “Oppure potrebbero chiedere ai Paesi Bassi perché hanno incluso alcuni prodotti correlati ai semiconduttori, come le macchine litografiche, nella lista di controllo delle esportazioni“.
Paradossalmente le ritorsioni cinesi appena annunciate (oltre a quelle nei confronti del produttore di memorie Micron Technology) potrebbero ritorcersi contro la stessa Cina, nel senso che potrebbero accelerare la rinascita di una forte e autosufficiente industria Occidentale dei materiali critici, spuntando l’arma del ricatto nelle mani di Pechino.
La produzione di queste sostanze non necessita infatti di tecnologie particolarmente complesse ma presenta unicamente problemi di natura economica (costi maggiori) e di natura ambientale (nuove miniere, elevato consumo di energia ed enorme quantità di scarti).
Naturalmente, ancora prima vengono le decisioni politiche, con una presa di coscienza da parte dei governi interessati (ormai data per scontata per Stati Uniti, Europa e Giappone), seguite poi dalle azioni concrete per riportare questa produzione all’interno dell’area dei paesi “amici”.
Al contrario, la volontà cinese di arrivare all’autosufficienza nella produzione di semiconduttori, specie di quelli più avanzati, appare decisamente più ardua essendo impossibile per i produttori cinesi accedere agli impianti e alle tecnologie produttive delle aziende occidentali, frutto di decenni di investimenti in ricerca e sviluppo.
La possibilità di accedere a queste tecnologie appare ancora più remota da quando gli Stati Uniti sono riusciti a convincere gli alleati come il Giappone e l’Olanda che questa era l’unica strada possibile per evitare che, anche in questo fondamentale settore, la Cina potesse raggiungere un’egemonia economica e strategica troppo pericolosa nelle mani di un paese autocratico, dominato dai membri di un partito unico.