venerdì, Novembre 22, 2024
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La carenza di chip provocherà un calo del 6,2% della produzione globale di veicoli nel 2021  

Immagine: Wikimedia

La società di ricerche di mercato IHS Markit segnala un peggioramento della catena di fornitura e aumenta al 6,2% (pari ad oltre 5 milioni di veicoli) la percentuale di produzione di veicoli che sarà persa quest’anno per la carenza di chip rispetto alle precedenti previsioni.

Nonostante gli sforzi dell’industria dei semiconduttori per aumentare la produzione di componenti destinati al mercato automobilistico, secondo IHS Markit, la produzione di veicoli scenderà quest’anno del 6,2% rispetto alle previsioni, con una mancata produzione di 5,02 milioni di veicoli leggeri.  Le cose sono destinate a peggiorare nel 2022 quando la carenza di chip provocherà un calo del 9,3% della produzione, pari a 8,45 milioni di veicoli. Solo nel 2023 le cose torneranno alla quasi normalità con un calo della produzione di 1,05 milioni di veicoli.

La società prevede dunque una produzione globale di 75,8 milioni di veicoli quest’anno, 82,6 milioni di unità nel 2022, e 92,0 milioni nel 2023.

Secondo IHS Markit la forte domanda repressa in questi anni, e il ritorno alla normalità nelle forniture, provocherà un rimbalzo della produzione e delle vendite nei due anni seguenti. Per il 2024 la società rivede al rialzo le previsioni del 3,2%, con la produzione che raggiungerà i 97,3 milioni di unità; per il 2025 le stime migliorano del 2,4% con la produzione a quota 98,9 milioni di veicoli.

Stimiamo che nel primo trimestre siano andate perdute 1,44 milioni di unità di produzione e nel secondo trimestre ulteriori 2,60 milioni di unità,” scrive nel suo report IHS Markit “attualmente le perdite del terzo trimestre sono pari a 3,1 milioni di unità e sono in aumento. Le prospettive per il quarto trimestre riflettono ora un aumento del rischio poiché le sfide alla catena di approvvigionamento, principalmente i semiconduttori, rimangono radicate. Recentemente Toyota ha comunicato che ridurrà gli obiettivi di costruzione a ottobre, a seguito dell’annuncio di un taglio del 40% al piano di settembre, e questo è sintomatico della volatilità in corso nel settore e della continua mancanza di visibilità oltre il brevissimo termine”.

Queste revisioni riflettono le sfide che l’industria automobilistica ha dovuto affrontare negli ultimi 18 mesi con il crollo degli ordini all’inizio della pandemia e la forte ripresa della domanda a partire dagli ultimi mesi del 2020. La cancellazione degli ordini di semiconduttori da parte dei produttori di auto nella primavera del 2020 ha consentito ai chipmaker di riallocare le proprie capacità produttive verso altri settori ma ha provocato gravi ritardi di fornitura quando l’industria dell’auto è ripartita e ha ripreso ad inviare ordini sempre più consistenti.

La carenza di chip si è aggravata quando, agli inizi del 2021, gli impianti texani di Infineon e NXP Semiconductors hanno dovuto interrompere la produzione a causa di un blackout elettrico; poco dopo è andato parzialmente a fuoco un importante stabilimento di Renesas in Giappone. Queste tre società occupano i primi posti nella classifica mondiale dei produttori di chip per automotive. A tutto ciò si sono aggiunte le tensioni Stati Uniti e Cina, con la limitazione all’attività di SMIC, la più importante foundry cinese, e con l’accaparramento di chip da parte di numerosi produttori cinesi di smartphone e elettronica di consumo, spaventati da quello che stava accadendo.

Sulla carenza di semiconduttori ha anche pesato un comprensibile tentativo da parte di molte industrie automobilistiche e non di ripristinare le scorte, ma anche la poco corretta prassi di piazzare ordini doppi.

La risposta dei produttori di semiconduttori alle fortissime richieste del mercato non si è fatta attendere, anche se la realizzazione di nuovi impianti e nuovi stabilimenti non può essere accelerata più di tanto.

Anche i governi si sono attivati, spaventati per il fermo delle industrie locali causati dalla carenza di chip. Dall’Europa agli Stati Uniti, dalla Cina al Giappone e alla Corea del Sud, si stanno mettendo a punto piani multimiliardari di sostegno all’industria dei semiconduttori.

Per quanto riguarda i principali produttori di chip, TSMC ha già previsto investimenti per 100 miliardi di dollari nei prossimi 3 anni per la costruzione di nuovi stabilimenti e il rafforzamento di quelli esistenti; ha anche portato al 100% l’utilizzo degli impianti esistenti. Da parte sua l’altra grande foundry taiwanese, UMC, ha stipulato un accordo da 3,5 miliardi di dollari con i propri clienti per espandere la capacità delle proprie linee a 28 nm.

Il colosso coreano Samsung ha deciso di investire 206 miliardi di dollari entro il 2023 mentre il produttore di memorie SK Hynix ha annunciato di aver anticipato a quest’anno gli investimenti previsti per il 2022. Da parte sua, il governo di Seoul ha stanziato aiuti pari a 450 miliardi di dollari, in gran parte sotto forma di benefici fiscali, per aumentare la competitività dei produttori locali di chip. Negli Stati Uniti, Intel intende stanziare almeno 20 miliardi di dollari per la costruzione di nuovi impianti produttivi, uno dei quali dovrebbe sorgere in Europa.

Pochi giorni fa la cinese SMIC ha annunciato un investimento di quasi 9 miliardi di dollari per la costruzione di un nuovo impianto a Shanghai mentre all’inizio del prossimo anno entrerà in funzione la nuova fabbrica di Shenzhen costata 2,35 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda l’Europa, a parte le promesse dei politici, nel giugno di quest’anno è diventato operativo il nuovo stabilimento di Bosch di Dresda costato un miliardo di dollari mentre in questi giorni è stato inaugurato l’impianto di Infineon di Villach, in Austria, che ha richiesto un investimento di 1,6 miliardi di dollari. Da parte sua STMicroelectronics sta ultimando l’impianto R3 presso il sito produttivo di Agrate Brianza che dovrebbe diventare operativo entro il 2022.

L’insieme di tutte queste iniziative sembra delineare un percorso in discesa. Solo questione di tempo e pazienza, dunque?

Tutti si augurano che sia così, ma la pandemia da COVID-19 non è stata ancora sconfitta, come dimostrano le restrizioni sanitarie adottate in questi giorni dalla Malesia, paese dove sono presenti moltissimi impianti dei principali produttori di semiconduttori che realizzano i processi di back-end (test e confezionamento dei chip): un altro pericoloso collo di bottiglia nella catena di approvvigionamento globale. E poi ci sono gli incidenti, sempre dietro l’angolo, come il blackout elettrico che ha colpito questo lunedì la citta di Dresda, in Germania, provocando l’interruzione dell’attività degli impianti di Bosch e Infineon presenti in zona.

Per non parlare, infine, delle tensioni geopolitiche nell’area dell’Indo-Pacifico da dove proviene oltre il 70% dei chip prodotti al mondo e dove si fanno sempre più forti le pressioni, politiche e militari, su Taiwan da parte della Cina che considera l’isola una parte integrante della nazione cinese.