martedì, Dicembre 3, 2024
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Il processore utilizzato nel nuovo smartphone di punta di Huawei è stato prodotto dalla cinese SMIC con nodo di processo a 7 nm

Nonostante le sanzioni occidentali, l’industria cinese è riuscita a produrre un processore a 7 nm di appena due generazioni in ritardo rispetto ai prodotti più avanzati taiwanesi e coreani.

Pochi giorni fa, Huawei ha lanciato il suo ultimo smartphone premium, il Mate 60 Pro, in grado di fornire prestazioni avanzate grazie all’impiego di un nuovo SoC. L’azienda non ha fornito alcun dettaglio sul processore utilizzato, alimentando le ipotesi più varie sulla sua provenienza.

L’interesse sulle origini del chip nasce dal fatto che Huawei e i principali produttori di semiconduttori cinesi sono soggetti da tempo ad una serie di restrizioni da parte dei principali produttori occidentali di attrezzature che, teoricamente, avrebbero dovuto bloccare la produzione di chip con caratteristiche così avanzate.

Se effettivamente il chip è stato progettato e prodotta da un’azienda cinese, potrebbe significare che le restrizioni guidate dagli Stati Uniti non sono così efficaci come era nelle intenzioni; oppure che le attrezzature cinesi per la produzione di chip hanno fatto un sorprendente balzo in avanti.

A mettere un punto fermo alle ipotesi circolate inizialmente è stato, come al solito, TechInsights, che in un report pubblicato ieri ha confermato che il chip montato nello smartphone di Huawei è stato fabbricato proprio in Cina, precisamente da SMIC, la foundry più avanzata del paese, con tecnologia di processo a 7nm (N+2).

Lo smartphone utilizza un processore per applicazioni 5G e un SoC (system-on-chip) di HiSilicon, il Kirin 9000s.

Il die Kirin 9000s trovato all’interno del telefono misura 107 mm2, ovvero il 2% in più del precedente Kirin 9000 (105 mm2) che equipaggiava gli smartphone premium di Huawei prima delle sanzioni e che veniva prodotto dalla taiwanese TSMC. Dalle varie caratteristiche identificative del die, il team di TechInsights ha concluso che il processore è prodotto da SMIC.

I primi risultati di laboratorio hanno indicato che questo die è più avanzato del nodo del processo a 14 nm di SMIC, ma presenta dimensioni critiche più grandi rispetto al processo a 5 nm.

Ulteriori misurazioni delle dimensioni del die, tra cui il passo del gate logico, il passo delle alette e i passi di metallizzazione del back-end inferiore della linea (BEOL), hanno consentito al team di analisti di concludere che il chip ha le caratteristiche di un nodo a 7 nm.

La scoperta di un chip che utilizza il nodo di processo a 7 nm (N+2) di SMIC nel nuovo smartphone Huawei Mate 60 Pro dimostra il progresso tecnico che l’industria cinese dei semiconduttori è stata in grado di realizzare senza strumenti di litografia EUV“, ha affermato Dan Hutcheson, vicepresidente di TechInsights. “La difficoltà di questo risultato dimostra anche la resilienza della capacità tecnologica del Paese nel campo dei chip. Allo stesso tempo, rappresenta una grande sfida geopolitica per i paesi che hanno cercato di limitare l’accesso alle tecnologie produttive critiche. Il risultato potrebbe probabilmente essere restrizioni ancora maggiori di quelle esistenti oggi”.

In ogni caso, già un anno fa SMIC aveva dimostrato di essere in grado di produrre chip a 7 nm utilizzando i sistemi DUV (litografia ultravioletta profonda) ad immersione acquistati dall’olandese ASML.

Era stata proprio TechInsights a trovare un chip a 7 nm prodotto da SMIC all’interno di una scheda per mining dell’azienda canadese MinerVa Semiconductor.

La notizia era stato il casus belli che aveva indotto le autorità americane e gli alleati europei e asiatici a introdurre nuove restrizioni nei confronti delle principali aziende cinesi.

Dal punto di vista manifatturiero, dunque, poco è cambiato, salvo il fatto che il Kirin 9000s è un chip molto più complesso rispetto all’MV7 di MinerVa Semiconductor.

Se un progresso c’è stato, è dunque nella capacità progettuale di HiSilicon, la fabless interamente controllata da Huawei che si occupa della progettazione dei chip del colosso cinese delle telecomunicazioni.

Dal punto di vista manifatturiero la fabbricazione di semiconduttori a 7 e 5 nm può essere ottenuta con macchine DUV ad immersione, con la tecnologia del multi-patterning. Si tratta di un processo più complesso e meno performante rispetto a quello garantito dalla tecnologia EUV ma che, ad esempio, è stato utilizzato da TSMC per i suoi nodi N7 e N5 cinque o sei anni fa. Già nel gennaio 2022, Burn Lin, capo della ricerca e sviluppo di TSMC e padre della litografia a immersione a 193 nanometri, dichiarò che SMIC poteva produrre chip a 5 nm con la tecnologia multi-patterning utilizzando sistemi DUV.

Il problema resta quello della convenienza rispetto all’attuale tecnologia EUV nonché quello della capacità produttiva e della resa; in altre parole, i processori sub-10 nm realizzati con tecnologia DUV non possono competere per quanto riguarda il rapporto prezzo/prestazioni con quelli prodotti con macchine EUV.

Il fatto che il Mate 60 Pro verrà venduto solamente sul mercato interno e che le prime scorte siano già andate esaurite conferma che il numero di processori prodotti è stato piuttosto limitato. Certo, utilizzando molte più macchine è possibile superare i limiti produttivi, un po’ come aveva fatto TSMC a suo tempo.



La capacità di produrre grandi quantitativi di processori avanzati da parte di SMIC potrebbe tuttavia trovare un ulteriore ostacolo nelle nuove restrizioni da poco entrate in vigore che limitano anche le forniture delle macchine DUV più performanti prodotte da ASML e da Nikon. Le nuove regole sono state applicate dal Giappone a partire dal 23 luglio mentre l’Olanda ha introdotto le nuove norme dal 1° settembre.

Proprio per questo motivo, negli ultimi mesi le aziende cinesi hanno acquistato grandi quantitativi di attrezzature per la produzione di chip. Nei soli mesi di giugno e luglio le importazioni di questi prodotti hanno fatto segnale la cifra record di 5 miliardi di dollari, in aumento del 70% rispetto ai 2,9 miliardi di dollari dello stesso periodo di un anno fa.

Per quanto riguarda la produzione locale di attrezzature avanzate, il ritardo nei confronti della tecnologia occidentale è ancora molto forte, nonostante il recente annuncio di Global Times, organo di informazione controllato dal governo cinese, che Shanghai Micro Electronics Equipment Group (SMEE) sarà in grado di fornire scanner con capacità di 28 nm entro la fine dell’anno. Attualmente i più avanzati scanner prodotti in Cina hanno una capacità di 90 nm.

L’annuncio del nuovo smartphone di Huawei e del nuovo processore da 7 nm prodotto da SMIC potrebbe innescare una nuova ondata di restrizioni da parte degli USA e dei suoi alleati; per questo motivo Huawei ha tenuto un profilo molto basso nell’annunciare il nuovo prodotto; al contrario, Global Times ha sottolineato con enfasi il nuovo traguardo raggiunto dall’industria cinese dei semiconduttori.

In realtà, i fatti dimostrano che le restrizioni occidentali sulla vendita di attrezzature alla Cina funzionano egregiamente e colpiscono nel segno; un inasprimento, casomai, dovrebbe riguardare gli strumenti di progettazione (EDA) di cui l’industria cinese ha bisogno quanto, se non di più, degli scanner di ASML.

Sullo sfondo resta l’enorme sforzo che la Cina sta facendo per potenziare la sua capacità produttiva di nodi maturi e prodotti legacy. Attualmente la Cina sta costruendo ben 23 fabbriche da 300 mm che, una volta operative, potrebbero garantire al paese la quasi autosufficienza nei nodi di processo dai 14 nm in su.

Più che i chip avanzati a 7 o 5 nm, è probabilmente questo il vero pericolo per l’industria dei semiconduttori dei paesi occidentali. Dei 200 miliardi di semiconduttori importati dalla Cina ogni anno, più della metà riguardano infatti  prodotti maturi, una importante fetta di mercato che i produttori di USA, Europa e Asia potrebbero perdere.