giovedì, Novembre 21, 2024
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Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha incontrato oggi i vertici di MEMC

L’azienda, unico produttore italiano di wafer di silicio, sta espandendo la capacità degli impianti di Novara e Merano per soddisfare la crescente domanda di substrati per la produzione di semiconduttori. 

Nell’ambito delle attività finalizzate ad approfondire lo stato della microelettronica nel nostro paese, al fine di predisporre anche per l’Italia un quadro normativo per lo sviluppo e la sicurezza di questo settore, il cosiddetto Chips Act italiano, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha incontrato oggi nella sede del ministero i vertici di MEMC SpA, azienda italiana con sedi a Novara e Merano, interamente controllata dalla multinazionale taiwanese GlobalWafers, il terzo più importante gruppo al mondo in questo settore con oltre 7.000 dipendenti e con una quota del 18% circa del mercato globale di wafer.

MEMC gestisce due stabilimenti, quello di Merano (con circa 250 dipendenti) dove vengono prodotti i lingotti di silicio, e quello di Novara (con 800 dipendenti) dove i lingotti vengono tagliati in sottili fette e sottoposti ad ulteriori lavorazioni. Attualmente la produzione è di circa 5 milioni di wafer da 8 pollici di diametro (200 mm circa) all’anno, destinati prevalentemente alle aziende europee del settore, STMicroelectronics, Infineon, Bosch, ecc., con un fatturato di oltre 300 milioni di euro l’anno.

Nello stabilimento di Novara è in fase di realizzazione una nuova linea produttiva per wafer da 300 millimetri con un investimento di oltre 300 milioni di euro.  Il potenziamento del sito produttivo di Novara prevede l’ampiamento dell’attuale struttura con un nuovo fabbricato di circa 10.000 metri quadri, attrezzato per la lavorazione di wafer da 300 millimetri, la soluzione tecnologica che consente ai produttori di semiconduttori di aumentare la produttività e ridurre i costi. Lo stesso chip prodotto con wafer da 300 mm costa il 40% in meno rispetto a quello prodotto sulle linee da 200 mm.

L’espansione dello stabilimento di Novara riceverà contributi pubblici nell’ambito dell’iniziativa europea IPCEI ME/CT, volta a sostenere la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo industriale della microelettronica e delle tecnologie per le comunicazioni. Recentemente la Commissione europea ha approvato 68 progetti di 56 aziende europee stanziando 8,1 miliardi di contributi pubblici; tra le quattro aziende italiane coinvolte c’è, appunto, anche MEMC, oltre a STMicroelectronics, Menarini Silicon Biosystems e SIAE Microelettronica.



Nonostante la soddisfazione manifestata dal ministro Urso per questa decisione della Commissione europea, i contributi che andranno a sostegno della microelettronica italiana sono decisamente scarsi (meno di un miliardo) con sole quattro aziende coinvolte. Al confronto, la Germania può vantare l’approvazione di ben 31 progetti.

Ancora più importante per la Germania è il recente accordo con Intel che prevede la realizzazione di due avanzati impianti di front-end del valore complessivo di 30 miliardi di euro che il governo tedesco finanzierà con contributi a fondo perduto per 10 miliardi circa.

Mentre Intel sta finalizzando anche altri progetti in Polonia, Israele e Irlanda, resta ancora nel limbo l’impianto di back-end avanzato che la società californiana aveva promesso di realizzare in Italia e di cui non si sa più nulla, nonostante le promesse di una rapida risoluzione delle trattative da parte della stessa premier Giorgia Meloni.

Le consultazioni e gli incontri proseguono, si fa sapere dagli ambienti governativi italiani. Purtroppo, la volontà di Intel di aumentare la propria capacità produttiva in vista di un raddoppio del mercato globale dei chip entro la fine di questo decennio impatta con la crisi finanziaria e tecnologica del produttore californiano che sta ritardando progetti e impegni e che per la produzione dei suoi chip più avanzati si sta attualmente rivolgendo a TSMC.

Ci si domanda se non sia il caso di cambiare strategia, magari tentando un approccio con aziende con maggiore capacità tecnologica e finanziaria che, guarda caso, hanno già manifestato l’intenzione di investire in Europa.