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Fallita in Russia l’unica azienda che produceva CPU: all’asta gli asset di Baikal Electronics

La Russia dice addio ai processori domestici Baikal non più competitivi e impossibili da costruire dopo le sanzioni occidentali a cui ha aderito anche Taiwan dove i chip venivano prodotti. Proseguono nel frattempo le importazioni clandestine di processori USA.

T-Platforms, l’azienda russa dichiarata fallita nell’ottobre del 2022 e che controlla il produttore di CPU Baikal Electronics, nell’ambito della procedura fallimentare della società ha messo in vendita, tra i beni dell’attivo, anche la proprietà intellettuale, i brevetti e le azioni di Baikal Electronics fondata dalla stessa T-Platforms nel 2012 con l’intenzione di rendere la Russia, almeno parzialmente, indipendente dalle CPU occidentali.

L’asta è prevista per il 26 settembre 2023 sulla base di una valutazione dei beni in vendita di 484 milioni di rubli (5 milioni di dollari), secondo quanto riportato da CNews.

Gli attuali proprietari di Baikal Electronics intendono continuare l’attività dell’azienda ma, nell’impossibilità di proseguire lo sviluppo dei processori Baikal, non parteciperanno all’asta.

Questi processori, infatti, si basano su un nodo di processo a 28 nm ed era fabbricati dalla taiwanese TSMC, non avendo le fonderie russe una capacità di questo genere (i nodi più avanzati si fermano ai 65÷90 nm).

Se la stessa Baikal non parteciperà all’asta, a maggior ragione è alquanto improbabile che qualche altra azienda russa vi partecipi. Oltre al problema della fabbricazione dei chip, infatti, la tecnologia di Baikal è decisamente obsoleta dal momento che l’ultima versione effettivamente fabbricata della CPU (Baikal-M1) si basa su otto core Arm Cortex-A57 funzionanti a 1,50 GHz con cache L3 da 8 MB e GPU Arm Mali-T628 a otto cluster con due pipeline di visualizzazione. Insomma, una tecnologia di 10 anni fa, ampiamente superata.

Anche degli altri progetti più avanzati annunciati nel gli ultimi anni non si è saputo più nulla.

L’azienda aveva annunciato del 2021 i processori Baikal-M2, Baikal-L e Baikal-S2 che non sono mai entrati in produzione a causa delle sanzioni nei confronti della Russia entrate in vigore pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, con il blocco tutte le forniture tecnologiche, semiconduttori compresi. Anche questi chip dovevano essere prodotti dalla taiwanese TSMC che ha sospeso qualsiasi fornitura a partire dal 27 febbraio 2022.

Secondo CNews, l’amministratore delegato di Baikal Electronics, Andrey Evdokimov, avrebbe dichiarato che la vendita delle IP e dei brevetti potrebbe rilanciare l’ecosistema delle CPU Baikal. “Noi in ogni caso non parteciperemo all’asta, ne abbiamo abbastanza dei nostri sviluppi“, ha detto Evdokimov.



Anche il destino di Baikal Electronics resta incerto: fallita la società-madre T-Platforms (che però deteneva appena l’1% dell’azienda), e dopo aver abbandonato lo sviluppo delle CPU Baikal, la società deve trovare nuovi business compatibili con l’attuale embargo occidentale che limita il raggio d’azione di Baikal alle ridotte capacità manifatturiere nazionali. D’altra parte, l’eventualità di ricorrere alle fonderie cinesi, in particolare a SMIC, getterebbe ulteriore benzina sul fuoco sulle già difficili relazioni tra USA e Cina.

Nel frattempo, per sostenere la produzione di armi, la Russia sta cercando di importare – aggirando le sanzioni – il maggior numero possibile di chip occidentali, stante la situazione dell’industria nazionale dei semiconduttori che non è in grado garantire le forniture necessarie.

Microchip e processori di fabbricazione occidentale alimentano molti dei sistemi d’arma russi, compresi i missili e gli aerei più avanzati. Ad esempio, l’Orlan-10, uno dei droni più utilizzati dall’esercito russo, utilizza numerosi chip e componenti di fabbricazione occidentale come ha dimostrato un recente rapporto del RUSI (Royal United Studies Institute) britannico. In un Orlan-10 abbattuto sono stati trovati chip e moduli di Texas Instruments, STMicroelectronics, Analog Devices, Microchip Technologies, u-blox, SIMCOM e altri ancora. Tutti prodotti che rientrano nell’embargo occidentale.

Dopo un primo contraccolpo, la Russia è riuscita a riportare il volume medio mensile di importazioni di chip e componenti elettronici al livello del 2021, con oltre la metà delle forniture ora provenienti dalla Cina. Le forniture arrivano anche da paesi amici o che non hanno aderito alle sanzioni, come Turchia, India e molti paesi asiatici. La maggior parte dei semiconduttori importati sono dual-use, rendendo più semplice aggirare le sanzioni. In alcuni casi, come i moduli u-blox GNSS, i componenti non potrebbero in ogni caso essere utilizzati per la costruzione di droni ad uso militare, come ha dichiarato l’azienda svizzera.

Come si fa, tuttavia, a distinguere un drone per sorveglianza per scopi civili da uno per scopi militari?