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Dopo la carenza di chip è in arrivo la carenza di ingegneri

Immagine: ASML

Mentre l’industria dei semiconduttori è ancora alle prese con una carenza globale di chip che non sembra aver fine, all’orizzonte si profila un’altra minaccia che potrebbe influire negativamente sul tentativo dei produttori di colmare il divario tra la domanda e l’offerta: la mancanza di personale specializzato necessario per la gestione dei nuovi impianti produttivi.

Il problema riguarda sia gli ingegneri di processo che si occupano della conduzione e della manutenzione delle sofisticate linee produttive, sia gli ingegneri che si occupano dello sviluppo di nuove soluzioni produttive sempre più avanzate.

La costruzione dei circuiti integrati rappresenta il processo manifatturiero più complesso al mondo, e come tale richiede personale altamente qualificato di cui c’è da sempre forte carenza.

Per realizzare questi minuscoli dispositivi presenti ormai dappertutto, è necessario innanzitutto produrre i sottilissimi (meno di 1 mm) wafer di silicio che rappresentano il supporto di base. I wafer vengono ottenuti tagliando a fette grossi cilindri di silicio cristallino prodotti in speciali forni; dopo il taglio, i wafer vengono lucidati e le superfici rese perfettamente piane.

A questo punto inizia la lavorazione più complessa, detta di front-end, con i wafer che vengono sottoposti ad un centinaio di processi chimici e chimico-fisici per la creazione di sofisticate e minuscole strutture a semiconduttore. Tutti questi processi – che richiedono alcuni mesi per essere completati – sfruttano la fotolitografia, per esporre o proteggere le aree che debbono essere sottoposte al successivo processo chimico.

La terza fase, quella di back-end, consiste nel taglio dei chip presenti sul wafer e nel loro confezionamento. Anche questa fase si è fatta più complessa rispetto al passato, con l’inserimento di più chip di silicio all’interno dello stesso contenitore, disposti sullo stesso piano o una sopra l’altra. L’aspetto più complicato di questa lavorazione riguarda le connessioni tra i vari pezzetti di silicio, realizzate con tecniche molto sofisticate e in continua evoluzione. Infine, i circuiti integrati vengono incapsulati in contenitori plastici o ceramici e sottoposti a test automatizzati.

Per tutte queste lavorazioni, ma anche per costruire i complessi impianti necessari, è richiesto personale altamente qualificato, tipicamente ingegneri con formazione ed esperienza specifica.

Negli ultimi anni la digitalizzazione e l’elettrificazione hanno innescato una crescente richiesta di semiconduttori che ha reso necessario l’ampliamento degli impianti esistenti e la costruzione di nuovi stabilimenti. Attualmente sono in costruzione in tutto il mondo oltre 30 nuovi fab e molti altri sono in fase avanzata di progettazione.

Se le risorse finanziarie necessarie per queste iniziative non rappresentano un problema (grazie agli alti margini delle aziende e ai contributi governativi a sostegno di questa industria strategica), più complessa è la situazione del personale, la cui formazione richiede molto tempo e la disponibilità da parte dei giovani che studiano ingegneria ad imboccare questa strada, ovvero la volontà di lavorare all’interno di una fabbrica.

La maggior parte dei giovani che studia ingegneria, infatti, specie nei paesi occidentali, preferisce dedicarsi al software o alla progettazione dei chip piuttosto che lavorare negli ambienti dove vengono fabbricati i semiconduttori. Questa è una delle tante ragioni per la quale negli ultimi 20 anni la produzione di chip si è spostata verso i paesi asiatici, Taiwan, Corea del Sud e Cina; anche il Giappone, un tempo leader nella manifattura, ha delocalizzato la produzione di questi prodotti.

La maggior propensione verso l’attività manifatturiera di quei paesi e di quelle popolazioni, è stata sostenuta dai governi locali con benefici fiscali, costruzione di infrastrutture di trasporto e servizi, sostegno alle università tecniche ed alla ricerca scientifica.
Morris Chang, fondatore della taiwanese TSMC, la più importante fonderia a contratto al mondo, a questo proposito, sostiene che l’ecosistema di Taiwan è ideale per lo sviluppo di aziende hi-tech, grazie al coinvolgimento dell’intera società: “Il personale taiwanese, tecnici e ingegneri di TSMC, è formato da persone di grande talento, desideroso di impegnarsi nell’industria manifatturiera. Questo è molto importante. In altri paesi come, ad esempio, gli Stati Uniti, gli ingegneri non sono così interessati a lavorare nelle industrie, e i giovani preferiscono seguire corsi di studi in altri campi, nella finanza o nel marketing. La gente non vuole lavorare nell’industria manifatturiera. L’impegno nella produzione è un grande vantaggio di Taiwan.”

Tuttavia, con sempre più stabilimenti, la carenza di personale qualificato si sta facendo sentire anche a Taiwan, dove il divario tra domanda ed offerta è al livello più alto da oltre sei anni, con una carenza di oltre 27.700 unità, in crescita del 44% rispetto all’anno precedente. Tutto ciò nonostante i benefit e gli ottimi stipendi, saliti al livello più alto in oltre un decennio.

Per porre rimedio a questa situazione, il governo di Taiwan ha approvato a maggio una legge che allenta le rigide norme relative all’istruzione e che consente alle università di istituire scuole di specializzazione indipendenti, finanziate dai principali gruppi tecnologici e dal Fondo nazionale di sviluppo – il principale veicolo di finanziamento del settore – in particolare in aree vitali come i semiconduttori e l’intelligenza artificiale.

La National Yangming Chiaotung University, l’alma mater di molti dirigenti tecnologici come il CEO di TSMC CC Wei e il presidente di Foxconn Young Liu, è stata la prima delle quattro principali università taiwanesi a ricevere il permesso di istituire una nuova scuola di specializzazione.

Questa situazione rischia seriamente di condizionale i piani di espansione di TSMC e UMC nei prossimi anni, più dei problemi finanziari o della mancanza di materie prime, semilavorati o energia.

Ancora più grave è la situazione in USA, che in passato aveva sopperito alla scarsità di ingegneri aprendo le porte ai giovani ingegneri asiatici, indiani ed europei, ma che ora pone severi limiti all’arrivo di lavoratori stranieri.

Secondo un rapporto di Eightfold.ai, una società di ricerca di giovani talenti, negli Stati Uniti serviranno, entro il 2025, 75÷90 mila nuovi addetti, un numero di gran lunga superiore a quello che il sistema scolastico americano è in grado di fornire.

Per questo motivo le associazioni di categoria e i singoli produttori americani di chip stanno facendo pressione sul governo degli Stati Uniti per consentire l’assunzione di ingegneri dall’estero e rafforzare le iniziative di cooperazione internazionale come la Microelectronics Training Industry and Skills (METIS) e la Global Workforce Development Initiative sponsorizzate da SEMI Foundation.

Per quanto riguarda le iniziative governative per rafforzare i percorsi di istruzione nel campo dei semiconduttori e dell’innovazione, il recente United States Innovation and Competition Act of 2021 (USICA) prevede fondi per 5,22 miliardi di dollari per borse di studio per studenti STEM, 8,43 miliardi di dollari per i programmi della forza lavoro STEM e 9,57 miliardi di dollari per i centri tecnologici universitari e gli istituti di innovazione.

Per quanto riguarda la Cina, recentemente dodici università hanno istituito facoltà dedicate allo studio dei semiconduttori, compresa l’Università di Pechino e l’Università Tsinghua. Negli ultimi cinque anni il numero degli addetti nell’industria dei semiconduttori è raddoppiato, ma anche qui c’è una forte carenza di personale. La forza lavoro cinese non ha l’istruzione o le competenze per sostenere le ambiziose aspirazioni di Pechino sui semiconduttori. Per produrre chip avanzati è necessaria una conoscenza approfondita dei processi di produzione, con l’industria dei semiconduttori che fa affidamento su un piccolo numero di esperti che conoscono tutti i segreti per la produzione di questi complessi dispositivi. Per questo motivo, negli ultimi anni la Cina ha messo in atto un’attività di reclutamento di manager e tecnici stranieri, prevalentemente taiwanesi, offrendo stipendi tre volte superiori; si calcola che dal 2017 oltre 3.000 ingegneri si siano trasferiti dall’isola alla terraferma, una fetta importante dei 40.000 ingegneri di ricerca e sviluppo (R&S) di Taiwan.

Anche in Europa la carenza di personale specializzato è all’ordine del giorno. Per questo motivo le principali aziende del settore, da ASML a ST, da Infineon a NXP hanno da tempo stretto partnership con Università e Istituti Superiori al fine di avvicinare gli studenti alle tecnologie utilizzate nelle aziende.

Nel nostro paese STMicroelectronics collabora con numerose Università, Istituti Tecnici e ITS e promuove numerose altre iniziative: hackathon, concorsi, fablab, convegni e percorsi di formazione dedicati.

Recentemente è stato annunciato un accordo con l’Università di Catania riguardante attività di formazione e ricerca nell’elettronica di potenza. La collaborazione mira a favorire la formazione accademica e professionale degli studenti e a sostenere la ricerca per l’innovazione tecnologica.

Il mese scorso STMicroelectronics e il Politecnico di Milano hanno inaugurato l’ampliamento della capacità manifatturiera di semiconduttori di PoliFab, il centro di R&S dell’Università dedicato alle micro e nanotecnologie.

Sulla scorta della lunga collaborazione tra le due organizzazioni, la clean room di PoliFab – la struttura in cui le fette di silicio vengono trasformate in chip di semiconduttori – ha ricevuto attrezzature all’avanguardia da STMicroelectronics per dare impulso alle attività congiunte di R&S nei MEMS (Micro Electro-Mechanical Systems), nel controllo di movimento, nell’elettronica di potenza e nell’isolamento galvanico.

Per quanto riguarda le iniziative pubbliche, il recente Pnrr prevede 1,5 miliardi da destinare alla riforma degli ITS, i corsi di studio post-diploma focalizzati su specifiche aree tecnologiche, in particolare sulla transizione digitale ed ecologica, sulla mobilità sostenibile, sull’innovazione e sulla competitività. L’obiettivo della riforma è quello di migliorarne la qualità e renderli un’alternativa concreta alle università facendone un volano per l’occupazione giovanile.