Pensate per l’impiego automobilistico, dove promettono ulteriori vantaggi in termini di autonomia, costo e peso, se utilizzate nei sistemi di accumulo industriali e domestici di energia elettrica, possono risolvere il problema della intermittenza delle fonti rinnovabili aprendo la strada alla definitiva affermazione delle energie green.
Alcuni giorni fa, Nissan ha annunciato importanti progressi nella produzione di batterie ricaricabili allo stato solido con le quali intende alimentare in futuro i propri veicoli elettrici. Entro il 2024 entrerà in funzione il nuovo stabilimento di Yokohama per la produzione dei primi prototipi; rispetto alle attuali batterie agli ioni di litio, le nuove batterie avranno una densità energetica doppia, un tempo di ricarica significativamente più breve grazie a prestazioni di carica/scarica superiori e, soprattutto, un costo decisamente inferiore, grazie all’impiego di materiali meno costosi. Nissan ritiene che il costo delle proprie batterie allo stato solido possa scendere a 75 dollari per kWh entro l’anno 2028 e a 65 dollari per kWh in seguito, portando ad una sostanziale parità di costo tra veicoli elettrici e veicoli con motore endotermico. Il costruttore giapponese prevede di utilizzare questa innovativa tecnologia in una vasta gamma di veicoli, compresi i pick-up.
Sviluppate principalmente per il mercato automobilistico dove la densità energetica e il peso sono caratteristiche fondamentali, la drastica diminuzione del costo potrebbe aprire scenari decisivi sul fronte dell’accumulo di energia elettrica legato alla diffusione delle fonti rinnovabili, in particolare eolico e fotovoltaico.
Al di là delle previsioni di Nissan, c’è da registrare, anno dopo anno, un progressivo calo dei prezzi delle batterie elettrochimiche ed un continuo miglioramento delle prestazioni.
Secondo l’indagine annuale di BloombergNEF, il prezzo all’ingrosso delle batterie agli ioni di litio ha raggiunto alla fine del 2021 i 132 dollari/kWh, in calo del 6% rispetto al prezzo di 140 $/kWh di fine 2020 e i 1.200 $/kWh del 2010.
Lo stesso rapporto prevede un prezzo di 100 $/kWh entro il 2024 mentre alcune case automobilistiche come Renault e Ford hanno annunciato pubblicamente una quotazione di 80 $/kWh entro il 2030, non lontano, quindi, dai valori previsti da Nissan per le sue batterie allo stato solido.
Sicuramente i recenti rincari delle materie prime e dell’energia a causa del conflitto tra Russia e Ucraina potrà portare a dei rincari, ma l’impiego di nuovi materiali e soprattutto un ridotto utilizzo dei materiali più critici (e più inquinanti) porterà ad una ulteriore riduzione dei prezzi nel lungo periodo. Al di là delle batterie allo stato solido, sono numerose le tecnologie che promettono di migliorare le prestazioni, in termini di efficienza e di costo, delle (ormai) tradizionali batterie agli ioni di litio. Tra le più promettenti – non necessariamente per impiego automobilistico – segnaliamo le batterie LFP (litio-ferro-fosfato), le batterie agli ioni di sodio, le varianti litio-zolfo e litio-aria, con grafene, e le batterie al sale. Per rimanere nel campo elettrochimico, ci sono anche le batterie a flusso, indicate esclusivamente per applicazioni di storage fisso.
Parallelamente al calo dei prezzi, lo sviluppo tecnologico ha prodotto un incremento delle prestazioni che, seppur non così significativo come quello dei costi, ha consentito di raggiungere traguardi di tutto rispetto.
Ad esempio, la Roadster, la prima vettura elettrica lanciata nel 2008 da Tesla, utilizzava batterie con una densità di energia di 117 Wh/kg e 370 Wh/litro mentre l’attuale Model 3 monta un pacco batterie con una densità di circa 246 Wh/kg e 711 Wh/litro. Altri miglioramenti hanno interessato il numero di cicli di carica/scarica, la durata, i tempi di ricarica, la temperatura di esercizio, l’energia necessaria per la produzione e le tecniche di riciclaggio delle batterie.
Questi dati si riferiscono a prodotti commerciali, utilizzati in volumi dall’industria dell’auto e dello storage, e non a prototipi di batterie; da questo punto di vista, nei laboratori dei centri di ricerca e delle aziende del settore sono stati messi a punto prototipi con densità di energia di gran lunga superiori, 500-600 Wh/kg per quanto riguarda il peso e oltre 1.200 Wh/litro per quanto riguarda il volume.
L’importanza dello storage
Il dispiegamento di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (con la conseguente dismissione delle centrali termiche a gas, petrolio e carbone), è strettamente legato alla disponibilità di una adeguata capacità di accumulo dell’energia. Delle tre principali fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico e idroelettrico), le prime due sono intermittenti, possono cioè produrre più o meno energia a seconda delle condizioni meteorologiche. Se non c’è vento, l’energia prodotta dalle pale eolico può addirittura essere nulla, mentre nelle giornate ventose l’energia prodotta può contribuire in maniera significativa alla produzione di energia elettrica. Analogamente, gli impianti fotovoltaici producono tantissima energia durante le ore centrali della giornata e durante l’estate (a meno che il cielo non sia coperto o piova), mentre di notte la produzione è nulla. Al contrario, gli impianti idroelettrici sono programmabili, possono ciò adeguare l’energia prodotta alla domanda, semplicemente aumentando o diminuendo il flusso d’acqua rilasciato (sempre ammesso che il bacino sia pieno).
È evidente dunque che per aumentare la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, è necessario disporre della possibilità di accumulare una maggiore quantità di energia.
Da questo punto di vista, la costante riduzione del costo dei sistemi di accumulo basati su batterie elettrochimiche – come quello annunciato da Nissan per le sue nuove batterie allo stato solido – rappresenta una buona notizia.
Differenti tipologie di accumulo
Grazie alla loro velocità di risposta, le batterie elettrochimiche rappresentano la soluzione ideale per il bilanciamento della rete elettrica, consentendo di regolare la frequenza e la tensione in tempi rapidissimi.
Al momento, tuttavia, non è ipotizzabile che alle batterie possa essere affidato in toto, o quasi, il compito di funzionare come “serbatoio” per l’intero sistema elettrico nazionale.
Nel 2021 in Italia abbiamo consumato 318,1 miliardi di kWh (318,1 TWh); la produzione nazionale è stata di 278,1 TWh, in aumento del 2,4% rispetto all’anno scorso, mentre i restanti 40 TWh sono arrivati dall’estero.
L’apporto delle centrali idroelettriche è stato di 46,3 TWh (-5,4%), l’eolico ha contribuito con 20,6 TWh (+10,8%), il fotovoltaico ha prodotto 25,1 TWh (+2,1%), la geotermia ha contribuito con 5,5 TWh (-2,1%) e, infine, le biomasse hanno contribuito con 18,2 TWh (+0,9%).
Complessivamente le fonti rinnovabili hanno contribuito con 113,8 TWh, pari al 36% della domanda di elettricità nazionale.
Le centrali alimentate da gas, carbone e petrolio hanno prodotto 180,58 TWh; la parte del leone spetta al gas col quale sono stati prodotti circa 140 TWh, con un consumo di 26,1 miliardi di metri cubi. A titolo puramente statistico, segnaliamo che l’Italia ha consumato nel 2021 72,7 miliardi di metri cubi di gas, 29,1 dei quali importati dalla Russia. Possiamo dunque affermare che il gas russo serve all’Italia per produrre circa la metà del fabbisogno di energia elettrica, l’altra metà arriva da fonti rinnovabili, più un po’ di carbone e petrolio.
L’agricoltura ha consumato 6,5 TWh, l’industria 130 TWh, i servizi 88 TWh mentre l’uso domestico è risultato di 68 TWh. Queste cifre non corrispondono esattamente alla domanda complessiva in quanto è necessario tenere conto delle perdite di trasmissione e conversione dell’energia.
Per quanto riguarda la potenza installata, il nostro paese dispone di una potenza complessiva di circa 116 GW (61,1 GW termoelettrico, 22,7 GW idroelettrico, 10,9 GW eolico e 21,7 GW fotovoltaico).
L’Italia ha bisogno mediamente di circa 38,1 GW di potenza elettrica lorda istantanea; tali valori oscillano tra la notte e il giorno tra 25 e 55 GW, con punte minime e massime rispettivamente di 19,1 e 56,6 GW.
Questi dati danno l’idea di quanta capacità di accumulo serve al nostro sistema elettrico per poter funzionare correttamente. Nell’ipotesi di voler rinunciare completamente alle fonti fossili, per avere una autonomia di 1 ora, nella peggiore delle ipotesi (notte senza vento), avremmo bisogno di un sistema di accumulo da 56,6 GW/ 38,1 GWh; per un’autonomia di 24 ore il sistema dovrebbe garantire 56,6 GW / 914 GWh.
Valori oggettivamente enormi che però diminuiscono drasticamente per effetto della presenza di una forte componente idroelettrica nel sistema elettrico italiano: gli oltre 20 GW di potenza idroelettrica potrebbero garantire la copertura notturna e la capacità dei bacini (ammesso che non sia possibile aumentarne il numero) potrebbe essere incrementata spingendo sui pompaggi. Attualmente questa tecnica consente di produrre nel nostro paese appena 2 TWh di energia all’anno, con un rendimento di circa il 70% (per produrre 1.979 GWh sono necessari 2.827 GWh); tuttavia, una ricerca del 2012, ha individuato la possibilità di aumentare la capacità idroelettrica mediante pompaggi fino a 79 TWh, in grado di soddisfare completamente l’accumulo di lungo periodo del sistema elettrico nazionale.
I costi dell’idroelettrico da pompaggio sono decisamente tra i più bassi: il nuovo impianto di accumulo di Nant de Drance, in Svizzera, preso spesso ad esempio per le sue soluzioni avanzate, è costato circa 1,5 milioni di euro ed è in grado di produrre con l’acqua accumulata circa 2,5 TWh di energia elettrica all’anno con una potenza istantanea di 0,9 GW. Le sei turbine da 150 MW l’una sono in grado in circa 10 minuti di passare dalla produzione di energia elettrica al pompaggio di acqua dal bacino a valle a quello a monte. Anche le dimensioni sono relativamente modeste, essendo il sistema formato da due bacini di circa 400 ettari l’uno.
Per quanto riguarda l’idrogeno, l’alternativa di convertire l’eccesso di produzione di energia elettrica nei momenti più favorevoli della giornata in idrogeno verde da utilizzare in seguito per produrre elettricità (tramite celle a combustibile), non è al momento fattibile dal punto di vista economico, almeno con i prezzi del gas pre-COVID, ed ha senso solo per produrre idrogeno per i processi industriali che non possono farne a meno.
Il rendimento degli elettrolizzatori che separano le molecole d’acqua e catturano l’idrogeno non supera infatti il 60%, un valore simile a quello delle celle a combustibile che utilizzano l’idrogeno per produrre elettricità. Complessivamente, dunque, uno stoccaggio energetico basato sull’idrogeno supera a malapena un rendimento del 30%.
Da questo punto di vista, il rendimento dei sistemi di accumulo con le batterie elettrochimiche è quello che offre i migliori risultati, garantendo un rendimento compreso tra l’80% e il 90%.
Tutto ciò fa dei sistemi a batteria la soluzione più vantaggiosa sia nel breve che nel lungo periodo. Oltretutto questa tecnologia è più che consolidata, offre tempi di risposta rapidissimi e può essere dispiegata rapidamente.
Un caso applicativo di questa tecnologia che viene spesso citato come esempio di tutte queste peculiarità riguarda la fornitura nel 2018 da parte di Tesla di un sistema di accumulo da 100 MW/129 MWh che è stato abbinato al parco eolico da 319 MW dell’Hornsdale Power Reserve, in Australia. L’impianto è stato installato in soli tre mesi ed è riuscito ad evitare i frequenti black-out che si verificavano nello stato di Victoria. Non solo, grazie alle elevate remunerazione dell’energia prodotta in determinate situazioni e del rapidissimo tempo di intervento, l’investimento è stato già ampiamente ammortizzato.
Per chi non lo sapesse, da molti anni Tesla è all’avanguardia anche nello storage elettrochimico, industriale e domestico, oltre che nella produzione di vetture elettriche.
Attualmente, per l’accumulo industriale, Tesla dispone a listino dei sistemi Megapack componibili da 0,8MW/3,1MWh (costo circa 1,5 milioni di dollari) mentre per l’impiego domestico sono disponibili i sistemi Powerwall da 5-7kW/13,5 kWh che costano, compresa l’installazione, circa 10 mila euro. Anche questi prezzi, pur avendo subito recentemente dei rincari per l’aumento del costo delle materie prime, sono previsti in calo nel lungo periodo.
Ed è proprio dai sistemi di accumulo a batteria che potrebbe arrivare la vera svolta per la transizione energetica in atto.
Ci riferiamo alla crescente diffusione delle vetture completamente elettriche e plug-in che consentirà, in un futuro prossimo, di realizzare una rete diffusa di accumulo dell’energia grazie alla tecnologia V2G (Vehicle–to–Grid). Le vetture collegate alla rete elettrica, sia domestica che pubblica, potranno accumulare energia in presenza di un eccesso di produzione cedendola nei momenti di picco dei consumi.
Man mano che i veicoli elettrici connessi alla rete aumenteranno, crescerà anche la capacità di accumulo di energia: in questo modo le fonti rinnovabili come il solare e l’eolico potranno essere integrate in modo efficace e con costi contenuti.
Se immaginiamo che al sistema di ricarica e scambio energetico V2G siano connesse un milione di vetture elettriche e che ciascuna di queste abbia una batteria della capacità di 50 kWh, il sistema elettrico italiano potrà disporre di una capacità di accumulo di 50 GWh, o anche molto di più qualora il parco elettrico circolante fosse composto esclusivamente da vetture elettriche.
Recentemente l’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente) ha pubblicato le regole riguardanti le colonnine di ricarica dotate di tecnologia V2G con l’obiettivo di promuovere anche nel nostro paese la partecipazione dei veicoli elettrici al funzionamento della rete pubblica, immaginando un futuro senza più l’utilizzo di combustibili fossili, sia per la mobilità che per la produzione di energia elettrica.
Un futuro nel quale l’accumulo di energia mediante batterie elettrochimiche avrà un ruolo sempre più importante.