domenica, Novembre 24, 2024
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La Semiconductor Industry Association (SIA) invita il governo USA ad “astenersi da ulteriori restrizioni” sulle vendite di chip alla Cina

La potente lobby dei semiconduttori statunitense scende in campo con un duro comunicato che ha preceduto gli incontri a Washington tra i manager delle principali aziende USA e gli esponenti dell’amministrazione Biden.

Nel timore di ulteriori restrizioni riguardanti la vendita di chip avanzati alla Cina, la Semiconductor Industry Association (SIA) gioca d’anticipo e diffonde un comunicato insolitamente duro invitando l’amministrazione Biden “ad astenersi da ulteriori restrizioni” nei confronti della Cina, paese che per molti produttori di chip americani rappresenta il principale mercato finale, con una percentuale sulle entrate compresa tra il 20 e il 30%; addirittura le vendite di Qualcomm in Cina rappresentano il 64% del fatturato dell’azienda.

Nel 2022 la Cina ha importato semiconduttori per 180 miliardi di dollari, più di un terzo del totale mondiale di 555,9 miliardi di dollari, risultando il più importante mercato per le aziende USA dei chip.

La nota della SIA si apre con un riferimento al Chips Act che proprio l’associazione, con le sue pressioni, ha contribuito a fare approvare:

Riconoscendo che una forte sicurezza economica e nazionale richiede una forte industria statunitense dei semiconduttori, lo scorso anno i leader di Washington hanno intrapreso un’azione audace e storica per emanare il CHIPS and Science Act per rafforzare la competitività globale del nostro settore e ridurre i rischi delle catene di approvvigionamento. Consentire all’industria di avere un accesso continuo al mercato cinese, il più grande mercato commerciale al mondo per i semiconduttori di base, è importante per evitare di compromettere l’impatto positivo di questo sforzo. Ripetute misure, tuttavia, per imporre restrizioni eccessivamente ampie, ambigue e talvolta unilaterali rischiano di diminuire la competitività dell’industria dei semiconduttori statunitense, interrompere le catene di approvvigionamento, causare una significativa incertezza del mercato e provocare continue escalation di ritorsioni da parte della Cina.”

La dichiarazione si conclude auspicando una maggior collaborazione tra Stati Uniti e Cina ma sollecita il governo USA a non introdurre nuove restrizioni:

Chiediamo a entrambi i governi di allentare le tensioni e cercare soluzioni attraverso il dialogo, non un’ulteriore escalation. E sollecitiamo l’amministrazione ad astenersi da ulteriori restrizioni fino a quando non si impegnerà più ampiamente con l’industria e gli esperti per valutare l’impatto delle restrizioni attuali e potenziali per determinare se sono ristrette e chiaramente definite, applicate in modo coerente e pienamente coordinate con gli alleati“.

L’amministrazione Biden ha introdotto nell’ottobre dello scorso anno una serie di restrizioni all’esportazione di tecnologie avanzate USA con lo scopo di evitare che l’industria dei semiconduttori cinese possa rapidamente raggiungere un livello tecnologico tale da minacciare l’attuale supremazia occidentale in questo campo.

L’arretratezza dell’industria cinese dei chip riguarda soprattutto le attrezzature per la produzione e il software di progettazione: nel campo dei semiconduttori avanzati la dipendenza da Stati Uniti, Giappone e Olanda in questi settori è pressoché totale.

Gli Stati Uniti sono riusciti a convincere gli altri paesi occidentali ad unirsi a questa campagna, forti del fatto che anche nelle apparecchiature prodotte in Giappone e Olanda la presenza di brevetti statunitensi è molto alta. I contraccolpi economici sulle aziende che producono attrezzature e impianti sono stati, tuttavia, modesti, sicuramente di gran lunga inferiori rispetto ai problemi derivati dal calo globale della domanda che ha caratterizzato il 2023.

Le sanzioni americane hanno colpito anche un altro comparto dove la Cina è molto debole: quello dei chip per intelligenza artificiale dove le aziende dominanti sono, ancora una volta, americane, in particolare Nvidia, AMD e Intel.

Non avendo le necessarie capacità di progettazione e, soprattutto, non disponendo di un’industria manifatturiera avanzata (i migliori chip per AI vengono prodotti con nodo di processo di 4÷10 nm), oltre a non poter ricorrere alle fonderie taiwanesi o coreane, anch’esse coinvolte nelle sanzioni, la Cina è quasi completamente dipendente dai chip americani per le sue applicazioni di intelligenza artificiale avanzata, per i suoi supercomputer e per i suoi centri di ricerca.

Negli ultimi mesi, questo mercato ha avuto un vero e proprio boom, spinto dalle applicazioni relative all’AI generativa. Anche in questo campo il governo americano ha posto dei limiti alle performance dei chip per AI che possono essere venduti in Cina.

Per rispettare le norme emanate dal governo USA, Nvidia ha realizzato una versione depotenziata della propria GPU A100 per il mercato cinese e altrettanto si appresta a fare Intel col suo processore Habana Gaudi2.



L’amministrazione Biden starebbe valutando la possibilità di ampliare le norme emanate in passato: nel mirino ci sarebbero nuove limitazioni alle prestazioni dei chip AI e regole più stringenti per l’accesso da parte di società cinesi ai servizi online di elaborazione AI offerti dai giganti del cloud.

Più che le ritorsioni cinesi con le restrizioni alle esportazioni di gallio e germanio introdotte recentemente, probabilmente è stato proprio l’intervento del governo USA sui prodotti per AI che ha provocato la rabbiosa reazione delle Big Tech dei chip: dopo anni di novità tecnologiche di scarsa o poca rilevanza, ecco finalmente la svolta dell’intelligenza artificiale, una pietra miliare tecnologica che in molti paragonano all’introduzione dello smartphone o di Internet.

Un Eldorado a portata di mano che ora la politica rischia di rendere meno profittevole per queste grandi società.

Ai CEO di Nvidia, Intel e AMD che ogni tre mesi debbono dimostrare ai propri azionisti di aver guadagnato di più, non interessa nulla se, nel lungo periodo, la Cina utilizzerà le tecnologie occidentali (e i contributi statali) per costruire nuovi monopoli economici da sfruttare i chiave geopolitica come è già successo con il fotovoltaico, le terre rare e altri materiali critici; o utilizzerà il più sofisticato hardware occidentale per realizzare supercomputer con i quali progettare nuove armi o sistemi di controllo ancora più stringenti sulla società e sui cittadini.

Al contrario, alla politica tutto ciò interessa sempre di più, in particolare da quando il Covid ha messo in evidenza la fragilità delle attuali catene di approvvigionamento, frutto di decenni di assenza proprio della politica, e dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia con la Cina che ha garantito un sostegno “senza limiti” alla Russia.

Col comunicato diffuso dalla SIA, queste due differenti visioni sembrano ora arrivate ad un punto di scontro. E tutto ciò nonostante l’importante sostegno economico garantito all’industria dei semiconduttori americana dal CHIPS and Science Act recentemente approvato dal Congresso: sussidi alla produzione di semiconduttori per 39 miliardi di dollari e nuovi crediti d’imposta sugli investimenti del 25%, del valore stimato di 24 miliardi di dollari a cui vanno aggiunti i contributi dei vari Stati federali e quelli delle comunità locali.

Per sostenere le proprie richieste, gli amministrati delegati di Intel, Qualcomm e Nvidia hanno incontrato a Washington i massimi funzionari dell’amministrazione Biden tra i quali il segretario di Stato Antony Blinken, il segretario al commercio Gina Raimondo e il direttore del Consiglio di sicurezza nazionale Jake Sullivan.

Il portavoce del Dipartimento di Stato ha detto che il Segretario Blinken ha cercato di “condividere il suo punto di vista sull’industria e sui problemi della catena di approvvigionamento, soprattutto dopo la sua recente visita in Cina e di ascoltare direttamente da quelle aziende su come vedono i problemi della catena di approvvigionamento, su come vogliono fare affari in Cina“.

Un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca ha affermato che “Le nostre azioni si sono focalizzate sulle tecnologie che hanno implicazioni per la sicurezza nazionale e sono state studiate per garantire che le tecnologie statunitensi e alleate non vengano utilizzate per minare la nostra sicurezza nazionale“.

Al centro dei colloqui anche le possibili conseguenze delle restrizioni cinesi all’esportazione di gallio e germanio e lo stato di avanzamento dei progetti del Chips Act e dei relativi sussidi pubblici.

Un intervento così duro da parte della SIA ed un’azione così pressante di lobbying non si ricordava da anni. Vedremo nelle prossime settimane quali ripercussioni potrà eventualmente avere sulle decisioni dell’amministrazione Biden. L’impressione, comunque, è che l’attuale amministrazione USA proseguirà nelle sue attività mirate di restrizioni nei confronti della Cina senza tenere conto dell’altolà della SIA.