venerdì, Novembre 22, 2024
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Crollano del 23% nei primi 3 mesi dell’anno le importazioni di chip da parte della Cina

Crollano le importazioni cinesi di chip

L’effetto combinato delle restrizioni statunitensi e del rallentamento dell’economia cinese ha prodotto un calo delle importazioni di chip del 22,9% in termini quantitativi da parte della Cina. 

Complessivamente la Cina ha importato nei primi tre mesi del 2023 108,2 miliardi di pezzi di circuiti integrati contro i 140,3 miliardi di IC dello stesso periodo del 2022, con un calo del 22,9%.

Ancora più marcata è la discesa in termini economici, in relazione al calo dei prezzi nel periodo: il valore complessivo dei chip importati è crollato da 107,1 miliardi di dollari nel 2022 a 78,5 miliardi nel primo trimestre dell’anno 2023, con una flessione del 26,7%.

Purtroppo, da questi dati – diffusi giovedì scorso dall’Amministrazione generale delle dogane cinese – non si riesce a identificare con precisione quali tipologie di IC ha contribuito maggiormente a questo forte calo, se i chip più avanzati soggetti a restrizioni (prodotti prevalentemente da NVIDIA) oppure anche i chip per i prodotti consumer (per smartphone, PC, elettrodomestici, ecc.). Dai dati diffusi è difficile stabilire se anche i chip per automotive e per impiego industriale abbiano subito una flessione, e in che misura.

Probabilmente la causa principale va ricercata nel rallentamento dell’economia cinese nel trimestre e nella debole domanda globale di prodotti consumer, in particolare di smartphone e PC. Questa ipotesi è suffragata dall’inversione di tendenza che si è verificata a marzo, con le importazioni di chip che sono aumentate in concomitanza con la forte ripresa dell’economia cinese.

Qualcosa in più sugli effetti delle sanzioni americane sulla vendita di chip arriverà dalle trimestrali di NVIDIA, Intel e AMD che verranno diffuse tra pochi giorni.

Sul fronte delle esportazioni di chip prodotti in Cina, il calo è stato più modesto: le esportazioni sono diminuite del 13,5% su base annua a 60,9 miliardi di unità nei primi tre mesi del 2023; il valore totale delle esportazioni è sceso del 17,6%.

Da notare che i dati delle esportazioni si riferiscono prevalentemente a chip di società straniere che producono i semiconduttori nelle proprie fabbriche sul territorio cinese e di chip – sempre di provenienza straniera – che vengono testati e confezionati in Cina.

Salvo poche eccezioni (SMIC e Yangtze Memory), infatti, le  fabbriche cinesi producono prevalentemente chip per utilizzo interno.

Dall’anno scorso gli Stati Uniti hanno posto severe restrizioni alle vendite di tecnologia all’industria cinese dei semiconduttori, limitando le vendite di chip avanzati, di macchinari per la produzione e di assistenza da parte di personale americano.

A questa campagna hanno aderito recentemente anche i produttori giapponesi ed europei di macchine e impianti per la produzione di semiconduttori; inoltre, le aziende (americane o straniere) che riceveranno i contributi economici previsti dal CHIPS and Science Act non potranno effettuare investimenti in territorio cinese nei prossimi 10 anni.

Tutti questi provvedimenti hanno lo scopo di limitare l’accesso e la capacità della Cina di fabbricare chip avanzati e attrezzature per la produzione di semiconduttori, e vengono giustificati con non meglio precisati motivi di sicurezza nazionale. In sostanza, si vuole evitare che la Cina realizzi – sfruttando la tecnologia occidentale – sistemi d’arma con capacità uguale o superiore a quelli occidentali. Per questo motivo gli Stati Uniti vogliono vietare la vendita alla Cina di processori avanzati con i quali realizzare i supercomputer indispensabili alla ricerca in ambito militare e industriale. Allo stesso tempo si cerca anche di evitare l’accesso agli impianti e ai software di progettazione che potrebbero consentire alla Cina di produrre nelle proprie fabbriche tali processori.

È evidente che tali provvedimenti avranno anche una ricaduta sul progresso tecnologico dell’industria cinese in moltissimi altri campi che con le armi c’entrano poco o nulla. Un esempio è quello degli smartphone, per costruire i quali le aziende cinesi dovranno continuare ad acquistare i chip di Qualcomm e Mediatek, non avendo un’industria dei semiconduttori in grado di progettare e fabbricare i processori avanzati necessari per queste applicazioni.

Proprio per questo motivo, le autorità cinesi si sono appellate al Wto (l’Organizzazione Mondiale del Commercio) chiedendo all’organizzazione di intervenire per costringere gli Stati Uniti a revocare tali restrizioni commerciali.