lunedì, Novembre 25, 2024
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L’onda lunga della crisi delle memorie arriva in Italia: Micron e SK Hynix annunciano chiusure e licenziamenti

Dopo l’annuncio della chiusura della sede padovana di Micron, anche il colosso coreano SK Hynix decide di chiudere la sede italiana e licenziare tutti i 39 dipendenti.

Non è trascorso neppure un anno da quando Roberto Bez, Country Manager di Micron Semiconductor Italia, filiale della multinazionale statunitense delle memorie Micron Technology, ci raccontava delle difficoltà di trovare le figure professionali necessarie alle attività italiane di Micron.

Nel nostro paese, l’azienda svolge una importante attività di ricerca e sviluppo e conta più di 500 addetti distribuiti in quattro sedi: Vimercate, Padova, Avezzano (AQ) e Arzano (NA).

Un numero così elevato di dipendenti per una società di semiconduttori che non ha un’attività produttiva nel nostro paese rappresenta l’eredità del passato manifatturiero dell’azienda, che nel 1998 aveva acquisito lo stabilimento di chip di memoria di Texas Instruments di Avezzano, in provincia dell’Aquila, per poi rivenderlo nel 2013.

L’impianto, che ha cambiato nome in LFoundry, dopo varie vicissitudini è ora di proprietà dei cinesi di Wuxi Xichanweixin Semiconductor ed opera come una foundry (produzione di chip per conto terzi), producendo prevalentemente sensori di immagine, ma anche elettronica di potenza e chip per automotive.

La cessione del 2013 ha riguardato il comparto produttivo mentre i laboratori di ricerca e sviluppo (prevalentemente nell’area NAND e nelle memorie per mobile e automotive) non solo sono rimasti in Italia, ma si sono ulteriormente rafforzati col crescere del business della società.

La multinazionale Micron Technology è arrivata a fatturare nell’anno fiscale 2022 (chiuso al 2 settembre 2022) quasi 31 miliardi di dollari con un utile netto di 8,7 miliardi.

Poi, all’improvviso, un crollo senza precedenti, dovuto alla scarsissima richiesta di chip di memoria per PC e smartphone.

In realtà la prima pesante avvisaglia era arrivata già nel periodo giugno-agosto 2022 (trimestrale FQ4-22), periodo durante il quale le vendite erano scese a 6,6 miliardi, dagli 8,3 miliardi di un anno prima, e l’utile netto era passato da 2,7 a 1,5 miliardi.

Il tracollo è arrivato nei trimestri successivi, con le vendite scese a 4,1 miliardi nel FQ1-23 e 3,6 miliardi nel FQ2-23, con gli utili miliardari che si sono trasformati in perdite, prima di 195 milioni (FQ1-23) e poi di ben 2,3 miliardi (FQ2-23). Per il prossimo trimestre la perdita dovrebbe aggirarsi attorno a 1,5 miliardi: una situazione decisamente insostenibile, anche per un colosso come Micron.

Per evitare il peggio, la società ha innanzitutto messo in atto un taglio della produzione; nel caso dei semiconduttori, tuttavia, sono necessari almeno sei mesi prima che una mossa del genera abbia effetto e i risultati di questa azione si vedranno (forse) nel FQ3-23. Micron ha dovuto pertanto agire anche su altri fronti, dal rallentamento degli investimenti al taglio delle spese generali e del personale. In un primo momento l’azienda ha annunciato che avrebbe tagliato del 10% il numero dei dipendenti, per poi alzare questa percentuale al 15%. Naturalmente sono state bloccate tutte le nuove assunzioni.



In questo contesto, le azioni messe in atto nel nostro paese sembrano ben poca cosa: Micron ha annunciato la chiusura della sede di Padova senza tuttavia licenziare nessuno, spostando i 31 dipendenti nelle sedi di Vimercate e Avezzano.

La mossa è stata giudicata dai sindacati una sorta di licenziamento camuffato, dal momento che molti dei 32 dipendenti, per ragioni familiari o altro, si trovano nell’impossibilità di trasferirsi. Tesi più che plausibile, dal momento che il costo di una struttura composta prevalentemente da uffici è rappresentato dal personale che vi lavora, non certo dalla struttura in sé, e la chiusura della sede di Padova, se non accompagnata anche dalla dismissione del personale, consentirebbe un risparmio irrisorio.

A fronte della volontà dell’azienda di procedere alla chiusura della sede di Padova, i sindacati hanno proclamato lo stato di agitazione e indetto uno sciopero che si è svolto il 31 marzo, oltre ad una serie di assemblee sindacali nelle altre sedi dell’azienda.

Se la situazione della sede Micron di Padova probabilmente si risolverà in maniera soddisfacente per tutti, decisamente più difficile è la situazione della sede italiana di SK Hynix, che il colosso coreano delle memorie (n. 2 al mondo dopo Samsung) ha deciso di chiudere e mettere in liquidazione.

Quella di Agrate Brianza (MB) – dove lavorano 39 ingegneri e progettisti – è l’unica sede europea di SK Hynix destinata alla ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e nuove soluzioni. L’azienda ha motivato la sua decisione con “… il divario tecnologico tra la società italiana e la casa madre coreana e l’impercorribilità di un trasferimento di tecnologia determinato dalla necessità di ingenti investimenti e dai divieti della normativa nazionale coreana”.

Un’iniziativa (quella della chiusura) ed una tesi (il divario tecnologico) che, guarda caso, arrivano dopo che anche SK Hynix ha pubblicato i conti dell’ultimo trimestre del 2022, i peggiori di sempre, con un fatturato sceso del 38%, anno su anno, e con una perdita trimestrale di ben 3,72 trilioni di won (3,02 miliardi di dollari). L’azienda prevede altri due trimestri di profonda crisi e, come Micron, ha annunciato tagli alla produzione e ai costi.

Anche nel caso di SK Hynix c’è stata una immediata mobilitazione sindacale. In un comunicato della Filcams Cgil di Monza e Brianza si legge che “… l’obiettivo del percorso sindacale che intraprendiamo è quello di tutelare l’occupazione delle 39 lavoratrici e lavoratori e mantenere le competenze di eccellenza nel territorio, stimolando su questo tema l’impegno attivo delle Istituzioni e il coinvolgimento delle aziende importanti e strategiche del settore presenti in Brianza che possono svolgere un ruolo risolutivo acquisendo le professionalità coinvolte”.

In questo caso, non possiamo che elogiare l’atteggiamento dei sindacati che, al contrario di altre crisi aziendali, non sembrano orientati a difendere ad oltranza un posto di lavoro che, sicuramente, non può essere mantenuto. L’orientamento è quello di attivarsi per ottenere il massimo dei benefici per i lavoratori che perderanno il lavoro e sensibilizzare le altre aziende del settore.

In questo periodo, infatti, a parte il mercato delle memorie è in grave crisi in tutto il mondo, ci sono aziende che operano nel campo della microelettronica che godono – fortunatamente – di ottima salute (come STMicroelectronics) e che sono alla disperata ricerca di personale qualificato. E, guarda caso, ST ha sede proprio ad Agrate Brianza, a pochi passi dagli uffici di SK Hynix. A parte STMicroelectronics, la Brianza è la nostra Silicon Valley, con decine di altre aziende tecnologiche in espansione, come Technoprobe, recentemente quotatasi alla Borsa Valori di Milano.

Anche nell’area di Padova esistono numerose opportunità di lavoro per gli ingegneri che operano nel campo della microelettronica come, ad esempio, la locale sede di ricerca e sviluppo di Infineon Technologies che è alla ricerca di numerose figure professionali.

Un’altra considerazione che val la pena di fare in questo caso, riguarda le politiche di responsabilità sociale (oltre che di sostenibilità ambientale) in cui tutte le aziende del settore si sono impegnate e che sono stata ampiamente pubblicizzate, in una sorta di gara a chi ha le politiche più inclusive, responsabili, eccetera. Micron, ad esempio, ha addirittura cambiato il nome all’area che gestisce le risorse umane, da Human Resources a People Department, per rimarcare un maggiore interesse da parte dell’azienda nei confronti delle persone e di tutte quelle attività che favoriscono un ambiente di lavoro culturalmente vario e inclusivo; da un paio d’anni Micron pubblica anche uno specifico report sulle attività DEI (Diversity, Equality and Inclusion).

Non è da meno SK Hynix, che dal 2008 pubblica un report sulle proprie attività ESG.

Purtroppo, questi fatti dimostrano come queste politiche e queste strategie valgano solo quando le aziende fanno utili (… ed è già qualcosa), mentre non bisogna farvi affidamento nei periodi di crisi.

La terza ed ultima considerazione riguarda le capacità imprenditoriali dei vari CEO, CFO, ecc. che guidano queste aziende e che sono lautamente remunerati, spesso con stipendi multimilionari. Nessuno di costoro è stato in grado di prevedere lo “tsunami” che stava per abbattersi sulle aziende di memorie e processori nella seconda parte del 2022. Eppure, i segni di una pesante inversione del mercato erano abbastanza evidenti: durante i due anni del Covid, tutti noi abbiamo cambiato PC e smartphone, con le vendite di questi prodotti sono cresciute a ritmi elevatissimi, così come quelle dei chip di memoria che li equipaggiano.

Nel corso del 2022, che ha visto un graduale ritorno alla normalità, nessuno ha più cambiato PC o smartphone, anche perché ormai le prestazioni di questi dispositivi erano già al top ed un prodotto nuovo, in assenza di clamorose innovazioni tecnologie, ha una vita di almeno 4-5 anni.

Era dunque più che prevedibile che la richiesta di chip di memorie non potessero continuare ai ritmi folli del periodo della pandemia.

Certo, col senno di poi è facile fare queste considerazioni, però da chi guadagna milioni o decine di milioni all’anno ci si aspetta questo ed altro. Non che ciò avrebbe cambiato l’andamento del mercato, ma iniziando una riduzione della produzione anche solo 3 mesi prima, società come Micron e SK Hynix avrebbero perso qualche centinaio di milioni in meno, che magari avrebbero potuto utilizzare per salvare un maggior numero di posti di lavoro.