venerdì, Novembre 22, 2024
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A quasi un anno dalla presentazione, l’European Chips Act non è ancora legge. Cosa sta succedendo all’iniziativa europea sui chip?

Torniamo a parlare dell’European Chips Act perché questa settimana sembra che il provvedimento abbia fatto un piccolissimo passo in avanti con l’approvazione da parte degli ambasciatori UE di una nuova bozza del provvedimento varato nel febbraio di quest’anno dalla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen. 

Come tutte le leggi di tipo ordinario emanate da qualsiasi governo (in questo caso dalla Commissione Europea che è, in pratica, il governo della UE), la loro entrata in vigore è subordinata alla discussione ed alla approvazione del Parlamento, in questo caso del Parlamento Europeo. Prima ancora, le leggi debbono essere vagliate ed approvate (ed eventualmente modificate) dalle commissioni e dagli organi collegiali che nel caso dell’Europa comprendono i rappresentati dei vari Stati (ambasciatori e ministri) che fanno pesare gli interessi di ciascun paese. Si tratta di una prassi decisamente tortuosa, specie se si pensa che la promulgazione della legge a febbraio 2022 era stata preceduta da quasi un anno di trattative e discussioni tra i rappresentati dei vari paesi.

L’European Chips Act nasce per sostenere la produzione europea di chip, per rafforzare la filiera produttiva, per accelerare sulla ricerca e incentivare la cooperazione internazionale; il tutto al fine di incrementare la produzione europea di semiconduttori e rafforzare l’autonomia dell’Europa in questo settore.

A tale scopo, la legge prevede stanziamenti per 43 miliardi di euro che però, al netto di altri sussidi già approvati e da quanto stanziato dai singoli paesi si ridurrà a circa 12 miliardi, come è stato segnalato da alcuni esperti. Una cifra davvero esigua se confrontata con gli investimenti in questo settore dei paesi asiatici e degli Stati Uniti.

Attualmente la quota di produzione globale dell’Europa è del 9% circa, pari a 45 miliardi di dollari; il piano della von der Leyen prevede di portare la percentuale al 20% entro il 2030: un’ipotesi decisamente azzardata, in considerazione anche delle risorse che la EU intende mettere a disposizione.

Un analogo piano presentato nel 2013 dalla Commissione di allora con la “mobilitazione”, come si suole dire in questi casi, di ben 100 miliardi di euro à fallito miseramente.

Per quanto riguarda le lungaggini dell’iter legislativo (e dell’erogazione dei fondi relativi), fortunatamente il principale beneficiario degli stanziamenti europei – la californiana Intel – ha al momento altre “gatte da pelare” con una gravissima crisi tecnologica e di vendite, come mai la società ha vissuto in passato. Crisi che è culminata in questi giorni con le dimissioni del capo dell’attività di fonderia Randhir Thakur.

In ogni caso, Intel si è tutelata con i governi dei due paesi, Germania e Italia, dove sorgeranno i nuovi impianti, governi che anticiperanno le risorse previste dal Chips Act. Per quanto riguarda il nostro paese, pur non essendo stato chiuso ufficialmente l’accordo, il Governo italiano ha stanziato 4,15 miliardi, da quest’anno al 2030, per la costruzione della nuova fabbrica di Intel che secondo le ultime indiscrezioni dovrebbe sorgere in Veneto.

Le divergenze tra i vari paesi europei

La versione originaria della legge prevedeva che i fondi per la manifattura dei semiconduttori andassero esclusivamente agli impianti di chip “primi nel loro genere” in Europa, cosa che limitava l’erogazione dei fondi alla solita Intel, mentre in Europa è presente un’industria manifatturiera e di progettazione molto forte che però utilizza tecnologie legacy che non vanno più in là dei processi produttivi a 22-28 nm.

La nuova definizione di “primi nel loro genere” ha corretto quella precedente con sostanziali modifiche. I semiconduttori non debbono più essere fabbricati con nodi di processo avanzati, ma possono presentare innovazioni di altro genere, ad esempio in termini di potenza di calcolo, efficienza energetica, vantaggi ambientali, intelligenza artificiale o nuove soluzioni di packaging.



Nella bozza si dice “…che il criterio della novità consiste nell’introduzione nel mercato interno di un elemento innovativo relativo ai processi di fabbricazione o al prodotto finale, che può essere basato su generazioni di processi nuovi o esistenti. Gli elementi di innovazione pertinenti potrebbero riguardare il processo di fabbricazione o il materiale di supporto (substrato), si riferisce ad approcci che portano a miglioramenti della potenza di calcolo o di altre caratteristiche prestazionali, dell’efficienza energetica, del livello di sicurezza, della protezione o dell’affidabilità, nonché all’integrazione di nuove funzionalità come l’intelligenza artificiale, la capacità di archiviazione o altro.”

Anche l’integrazione di diversi processi che portano ad aumenti di efficienza o all’automazione del confezionamento e dell’assemblaggio sono esempi di innovazione. In termini di benefici ambientali, gli elementi di innovazione includono riduzioni quantificabili del consumo di energia, acqua o sostanze chimiche o il miglioramento della riciclabilità dei materiali. Gli elementi di innovazione di cui sopra possono essere applicati sia a generazioni mature che a nuove generazioni di processi”.

In pratica, questa nuova definizione consente di finanziare qualsiasi tipo di produzione, non c’è infatti azienda che proponga un chip con caratteristiche peggiori di quelli attualmente in produzione o che ritorni ad un processo manifatturiero più antiquato. Sarebbe un controsenso.

Un’altra questione controversa riguarda l’utilizzo dei fondi UE. Mercoledì gli Stati membri hanno concordato di non riassegnare 400 milioni di euro di fondi per la ricerca sui semiconduttori dopo che i paesi con piccole industrie di chip hanno espresso il timore che questo denaro andrà a beneficio solo di alcuni paesi come la Germania che hanno strutture più grandi. Gli ambasciatori vogliono che la commissione trovi i soldi altrove.

Altri punti riguardano le condizioni quadro per le imprese che beneficiano dei sussidi. Le fonderie di semiconduttori per la produzione europea di chip finanziati dall’UE, chiamate Open EU Foundry, dovranno soddisfare alcuni requisiti che già altre foundry garantiscono, come la parità di condizione per tutti i clienti e la protezione dei progetti di cui dovrà essere garantita la massima sicurezza. Quando la foundry, come nel caso di Intel, è anche una grande IDM, i timori sono sempre dietro l’angolo.

Ci sono poi tutta una serie di altri temi sui quali i vari paesi sono alla ricerca di un compromesso come il via all’European Chips Infrastructure Consortium che dovrebbe facilitare l’accesso ai finanziamenti comunitari.

Se non ci saranno ulteriori intoppi, i ministri di tutti gli Stati membri dovrebbero firmare la nuova bozza il 1° dicembre in occasione del prossimo Consiglio sulla competitività europea. Successivamente il provvedimento verrà discusso nella plenaria del Parlamento Europeo in febbraio quando probabilmente ci sarà l’approvazione definitiva.

Attualmente, limitandoci al solo aspetto manifatturiero, le iniziative annunciate o già in corso riguardano i seguenti progetti:

Intel

STMicroelectronics

Infineon Technologies

GlobalFoundries

Bosch

Vishay