All’inizio dell’anno Intel annunciava investimenti miliardari negli Stati Uniti, in Europa e, sebbene non ufficialmente, anche in Italia. A distanza di pochi mesi, è “cambiato il mondo”, in particolare quello dei processori e delle memorie, con aziende come Intel e Micron che evidenziano cali di fatturato di oltre il 20% e un sostanziale azzeramento degli utili. E per recuperare un po’ di margini, ecco che arrivano migliaia di licenziamenti e un forte taglio agli investimenti. In questa situazione è molto probabile che il progetto della fabbrica italiana venga annullato o, più probabilmente, rinviato a tempi migliori.
Intel, così come molte altre aziende del settore, aveva aderito con entusiasmo al programma che intende riportare la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti e nei paesi amici. Questa iniziativa, ispirata dalla politica, considera l’attuale debolezza della catena di approvvigionamento globale e la concentrazione della fabbricazione di semiconduttori in aree ad alta criticità (Taiwan e Corea del Sud) un grave problema dal punto di vista geopolitico e della sicurezza nazionale. Tutti gli osservatori sono convinti che una eventuale interruzione delle forniture taiwanesi di chip (provocata da una invasione cinese o più probabilmente da un blocco navale) provocherebbe una crisi economica su scala planetaria senza precedenti.
Per questo motivo, negli ultimi mesi si sono intensificati gli sforzi di Stati Uniti, Europa e Giappone per riportare almeno una parte della produzione di chip all’interno dei confini nazionali. A tal fine sono state varate delle leggi (il CHIPS and Science Act negli USA e il Chips Act in Europa) per sostenere finanziariamente, con contribuiti a fondo perduto e crediti di imposta, la costruzione di nuovi impianti e l’ammodernamento di quelli esistenti, oltre al sostegno delle attività di ricerca e sviluppo.
Queste iniziative sono state accolte con favore da tutte le aziende interessate e dai colossi asiatici TSMC e Samsung che sono stati “convinti” a realizzare impianti all’avanguardia sul suolo americano.
Il tutto in un clima di grande euforia, con le richieste di PC e smartphone salite alle stelle durante il periodo della pandemia, e il rimbalzo economico del dopo Covid, con la fortissima richiesta di chip di tutti i tipi, in particolare di quelli per il comparto automobilistico e industriale.
Tra la fine dell’anno scorso e i primi mesi di quest’anno è stato un susseguirsi di annunci e di nuove iniziative. Ce ne siamo occupati più volte.
L’azienda più attiva è stata Intel, leader nei processori per PC, nei server e nei data center: indubbiamente ancora un colosso dal punto di vista commerciale ma sempre più in difficoltà dal punto di vista tecnologico per la concorrenza di AMD e Nvidia e, per quanto riguarda l’aspetto produttivo, messa all’angolo dai servizi di fonderia di Samsung e TSMC. L’ultimo smacco è arrivato da Apple che per i suoi PC ha sostituito i processori di Intel con quelli progettati in casa e fabbricati da TSMC.
Dopo aver perso, molti anni fa, il treno della rivoluzione mobile, nel 2015 Intel ha acquistato il leader degli FPGA Altera senza riuscire a trarne alcun beneficio e recentemente si è definitivamente sbarazzata del business delle memorie ceduto a SK hynix. Durante la pandemia, Intel ha tratto vantaggio dall’aumento esponenziale delle vendite di PC dovuto all’incremento delle attività lavorative e di studio da remoto e dall’ampliamento dei data center a supporto di queste attività, senza peraltro riuscire a riprendersi né tecnologicamente né a rafforzarsi dal punto di vista finanziario. Per questo motivo, agli inizi del 2021 l’azienda ha sostituito l’amministratore delegato, affidando il timone a Pat Gelsinger, un veterano di Intel.
Il nuovo CEO ha messo a punto un ambizioso piano di rilancio tecnologico e nuove strategie aziendali, il cosiddetto piano IDM 2.0, che prevede un salto tecnologico di quattro/cinque nodi produttivi entro il 2025.
E per ampliare l’offerta di fonderia anche per i processi più maturi, Intel ha acquistato quest’anno la fonderia israeliana Tower Semiconductor.
Per quanto riguarda le nuove iniziative produttive, a settembre dell’anno scorso Intel ha dato il via alla costruzione di due nuove fabbriche in Arizona per un investimento complessivo di 20 miliardi di dollari mentre a gennaio è stato annunciato un nuovo sito produttivo in Ohio, con un impegno di altri 20 miliardi.
Nel frattempo Intel sta rafforzando, con un investimento di 7 miliardi di dollari, la capacità produttiva del sito irlandese di Leixlip, dove sorgerà il primo impianto europeo in grado di fabbricare chip con nodo di processo a 7 nm. Intel ha anche stanziato 10 miliardi di dollari per rafforzare gli impianti di Kiryat Gat, in Israele, dove vengono prodotti chip a 10 nm, e per realizzare uno stabilimento per packaging avanzato a Rio Rancho, in new Messico, con un impegno di 3,5 miliardi di dollari.
Per quanto riguarda le iniziative in Europa, Intel ha annunciato la costruzione di un mega sito produttivo di chip in Germania, a Magdeburgo, per un valore complessivo di 17 miliardi di euro.
In Italia, la società ha annunciato a febbraio un “potenziale investimento” fino a 4,5 miliardi di dollari per una fabbrica di packaging avanzato che avrebbe creato 1.500 posti di lavoro diretti e 3.500 nell’indotto, con l’inizio dell’attività fissato tra il 2025 e il 2027.
Da allora, Intel non ha più fornito alcuna informazione su questa iniziativa, salvo confermare che erano in corso trattative col governo italiano.
Nel frattempo, agli inizi di marzo, il governo Draghi ha varato una legge che stanzia 4,15 miliardi di euro a fondo perduto per iniziative nel settore della microelettronica, una legge destinata a favorire la nascita dello stabilimento Intel in Italia.
Da allora, non ci sono stati altri comunicati o informazioni né da parte di Intel né da parte del governo italiano che, come tutti sappiamo, dopo le elezioni di settembre è ora guidato da Giorgia Meloni.
Sono dilagate, invece, le indiscrezioni di stampa che davano per imminente l’annuncio di un accordo. Ad agosto la Reuters dava per certa la firma di un’intesa prima delle elezioni di settembre, indicando anche la località dove sarebbe sorto il nuovo sito produttivo: in Piemonte o in Veneto.
Alla vigilia delle elezioni, sempre la Reuters, dava per certa la firma dell’accordo dopo la formazione del nuovo governo, segnalando anche che sarebbe già stata scelta la sede del sito produttivo: Vigasio, un piccolo comune del Veneto.
Ora che il nuovo governo è nel pieno esercizio delle proprie funzioni, le indiscrezioni riguardano possibili ripensamenti sulla località dove dovrebbe sorgere la fabbrica e le relative pressioni sui nuovi responsabili dei dicasteri. Non si placa neppure la polemica tra i sostenitori di un insediamento al Sud (si era parlato della Puglia o del distretto di Catania, dove esiste già un importante hub della microelettronica) e di quanti sostengono le ragioni di un insediamento al Nord, dove sono presenti migliori infrastrutture e una maggiore disponibilità di risorse umane e fonti di energia.
Sicuramente una decisione sulla questione da parte del nuovo governo arriverà a breve, anche se in molti, a questo punto, ritengono che non sarà positiva, pronosticando un sì all’iniziativa ma rimandandola a tempi migliori.
Troppe cose, infatti, sono cambiate nel giro di pochi mesi, da quando Intel ha manifestato l’intenzione di realizzare il nuovo impianto di packaging nel nostro paese.
È cambiato innanzitutto lo “stato di salute” di Intel. In pochi mesi la società si è trovata ad affrontare un drastico e improvviso calo della domanda che nel secondo trimestre del 2022 ha praticamente azzerato l’utile. Nel terzo trimestre la società ha intrapreso un importante taglio delle spese che, secondo le intenzioni di Intel, continuerà sino al 2025 e che ha consentito all’azienda di chiudere il periodo con un piccolo utile.
Come si vede nella slide, Intel prevede un importante taglio degli investimenti (due miliardi solo quest’anno) ed una riduzione complessiva dei costi di 8-10 miliardi all’anno fino al 2025, compresi i tagli al personale.
Ci si domanda con quali risorse Intel possa avviare la fabbrica italiana in un momento in cui l’azienda sta tagliando su tutti i fronti, personale compreso, per rimanere a galla.
Anche per quanto riguarda il nostro paese, dall’inizio dell’anno ad oggi sono cambiate troppe cose, a partire dallo tsunami energetico che sta rischiando di mettere in ginocchio famiglie ed imprese. Le priorità si sono spostate dall’incentivazione di nuove iniziative all’assoluta necessità di mettere in sicurezza il tessuto produttivo del nostro paese messo in pericolo dalla scarsità di risorse energetiche e dall’aumento esponenziale dei costi dell’energia.
Tra l’altro, i costi energetici rappresentano una componente fondamentale nell’equilibrio economico di una fabbrica di semiconduttori, e il costo di questa componente è sempre stato al centro delle trattative tra imprese e amministrazione pubblica, con lo Stato che in passato, per attirare nel nostro paese fabbriche energivore, si è fatto garante di forniture a prezzi calmierati.
Insomma, un dossier che si è fatto terribilmente complicato per il nuovo governo e che, in ogni caso, richiede una decisione ponderata in ragione della nuova situazione economica complessiva.
L’unica considerazione che gioca a favore di questa iniziativa – in un momento così negativo – è il fatto che prima o poi il ciclo negativo cambierà direzione, come è sempre avvenuto per il mercato dei semiconduttori. E chi sarà stato in grado di superare questi momenti difficili mantenendo o creando una valida capacità produttiva potrà cogliere le opportunità di un mercato che crescerà fino ad un trilione di dollari entro il 2030.