domenica, Novembre 24, 2024
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L’importanza del capitale umano per lo sviluppo della microelettronica in Lombardia e in Italia

La carenza di personale specializzato e le strategie per formare gli ingegneri indispensabili all’industria della microelettronica, al centro del dibattito che si è tenuto ieri presso l’Università Bicocca a margine delle Conferenze IEEE ESSCIRC – ESSDERC.

Una fatica boia”: è l’espressione che il presidente di STMicroelectronics Italia Giuseppe Notarnicola ha utilizzato per descrivere le difficoltà della sua e di altre aziende del settore della microelettronica a reperire il personale specializzato necessario all’attività di ST in Lombardia e in Italia.

La colorita espressione è l’estrema sintesi di un problema che rischia di frenare, se non bloccare, lo sviluppo di questo importante comparto che produce gli elementi di base – i microchip – sui quali si basano, ormai, tutti i prodotti industriali e quelli di uso comune che utilizziamo quotidianamente. I microchip sono elementi sempre più pervasivi, come dimostra l’evoluzione dell’industria automobilistica, passata da vetture dotate di un semplice impianto elettrico, ad automobili che integrano centinaia di microchip che controllano qualsiasi cosa, dalla propulsione alla sicurezza, e che in futuro consentiranno alle vetture di viaggiare in maniera autonoma, senza la necessità di un conducente. Ormai non esiste più un oggetto della tradizione domestica che non contenga almeno un microchip, dalla macchina del caffè alle lampade, dal telefono al frigorifero. Senza contare quegli “oggetti” che, fin dalla loro comparsa, utilizzavano transistor e circuiti integrati: televisori, radio, PC e tanti altri ancora.

Per i paesi più avanzati, disporre della capacità di progettare e fabbricare questi minuscoli dispositivi sta diventando un’esigenza strategica, come dimostrano le iniziative in questo settore dei governi di Stati Uniti, Europa, Giappone, Cina, Corea e Taiwan; proprio in questi giorni anche l’India, che non possiede fabbriche di microchip, ha stanziato consistenti fondi pubblici per favorire la nascita delle prime foundry nazionali.

La Cina, che dispone di una discreta industria nazionale ma che è anche un grandissimo consumatore di chip che vanno ad alimentare la propria industria manifatturiera, importa ogni anno circa 350 miliardi di dollari di semiconduttori, contro i 250 miliardi di dollari di petrolio.

La globalizzazione della catena di produzione, partita negli anni ’90 del secolo scorso, ha portato ad una forte capacità di innovare e ad una maggiore produttività, con conseguente abbassamento dei costi, nonché  ad un incremento esponenziale dei volumi di produzione.

Tutto ciò non è bastato a soddisfare l’enorme aumento della domanda di semiconduttori che, ciclicamente, supera di molto l’offerta, con un mercato globale che è destinato a raggiungere un valore di circa mille miliardi di dollari entro il 2030, raddoppiando l’attuale valore.

Un mercato, dunque, con ottime prospettive per il futuro, sia dal punto di vista economico che per quanto riguarda l’aspetto occupazionale.

Ad ostacolare lo sviluppo di questo settore esistono tuttavia due formidabili ostacoli: l’ingente quantità di capitali necessari alla realizzazione di nuove fabbriche e l’elevatissimo livello di competenze richiesto a quanti operano nella microelettronica.

Per quanto riguarda il primo aspetto, il costo di una nuova fabbrica di chip con tecnologia a 3 nm può superare i 20 miliardi di dollari, contro i 10 miliardi di un impianto da 7 nm e i 2 miliardi di un fab da 22/28 nm.

La costruzione di circuiti integrati rappresenta il processo manifatturiero più complesso al mondo, e come tale richiede personale altamente qualificato: il 90% degli addetti impiegati nella progettazione e sviluppo e nella gestione degli impianti deve possedere una laurea specialistica o un dottorato di ricerca. Si tratta di figure professionali che, nonostante gli sforzi, scarseggiano in tutto il mondo, specialmente nei paesi dove l’industria dei semiconduttori è in forte crescita, dalla Cina agli Stati Uniti, da Taiwan alla Corea.

Per approfondire:

E se il problema degli ingenti investimenti può essere superato con l’aiuto dei governi, quello della disponibilità di ingegneri e di personale altamente specializzato non è di facile risoluzione.

Anche perché si tratta di un lavoro molto complesso, difficile, spesso oscuro, che richiede anni di studio, sconosciuto ai più, e che non ha il fascino di altri settori dell’ingegneria e della ricerca.
L’innovazione in questo settore resta racchiusa nel minuscolo package di plastica, e quello che appare (e che affascina) sono le applicazioni abilitate dai chip (dalle quali, oltretutto, le aziende interessate ottengono un ritorno economico dieci volte superiore rispetto ai guadagni di chi progetta e fabbrica i chip). Da questo punto di vista, il caso più eclatante è quello di Apple che è diventata la prima azienda al mondo, sfruttando i chip prodotti da altre aziende e puntando tutto su design, innovazione e software; solo in una seconda fase Apple ha iniziato a progettare i propri chip per smartphone e, ora, anche per PC, diventando così anche una fabless. Sta di fatto che la capitalizzazione di Apple è attualmente di 2,5 trilioni di dollari contro i 300 miliardi o poco più di Nvidia, la prima società di semiconduttori al mondo per capitalizzazione.

Per non parlare di altri campioni dell’hi-tech come Google, Facebook o Microsoft che, basandosi sulle funzionalità offerte dai microchip, con le loro applicazioni hanno surclassato dal punto di vista economico i produttori di microelettronica.

La percezione dello scarso fascino del lavoro del progettista di microelettronica o dell’ingegnere di processo che lavora in un fab è emersa più volte durante la tavola rotonda di ieri sera.

Così come è emerso questa mattina durante l’evento organizzato da ANIE, l’Associazione di Confindustria delle industrie Elettrotecniche ed Elettroniche, presso l’Università Bicocca, un altro evento collaterale alle Conferenze IEEE ESSCIRC – ESSDERC che aveva lo scopo di fare conoscere agli studenti presenti tutti i vantaggi (economici, di soddisfazione personale, ecc.) offerti dalla carriera nel campo della microelettronica, nella speranzo di fare imboccare questa strada a molti più studenti.

 

In realtà, se le appassionate testimonianze dei giovani ingegneri presenti che da poco hanno iniziato la loro carriera nell’industria della microelettronica – e che hanno descritto gli entusiasmanti progetti ai quali stanno lavorando – hanno fatto emergere la piena soddisfazione personale delle scelte fatte, per contro hanno messo in evidenza la profondità e la pesantezza del percorso lavorativo e di studi di questa carriera, spaventando non poco la platea degli studenti. Ottenendo, paradossalmente, un effetto opposto a quello voluto.

Nella tavola rotonda di ieri sera sono stati descritti gli sforzi e le iniziative congiunte tra Università e aziende private per aumentare il numero e la preparazione degli studenti che seguono i corsi legati alla microelettronica (ingegneria, fisica, ecc.). In particolare il rettore Francesco Svelto dell’Università degli Studi di Pavia ha illustrato l’iniziativa del Distretto di Microelettronica, un accordo di partenariato tra l’Università e numerose aziende  di microelettronica (con oggi siamo arrivati a quota 17) con sede nel territorio della provincia di Pavia e della zona sud di Milano.

Renato Lombardi di Huawei ha sottolineato la natura globale della sua azienda e la forte vocazione in ricerca e sviluppo che portano Huawei a collaborare con alcune Università supportando i dottorati di ricerca, in particolare in campo wireless.

Da parte sua Alessandro Matera, amministratore delegato di Infineon Technologies Italia, ha evidenziato come tutte le aziende del settore debbono impegnare percentuali importanti (almeno il 15%) delle proprio entrate in ricerca e sviluppo se vogliono rimanere competitive. Il che comporta una vasta attività in questo campo che per le multinazionali come Infineon, coinvolgono numerosi paesi: attualmente in Italia Infineon Technologies ha due centri di R&D con oltre 300 addetti e una ampia attività di collaborazione con alcune Università finalizzata alla formazione di personale specializzato nei campi di interesse dell’azienda tedesca. Negli ultimi due decenni il settore lombardo della microelettronica ha quasi sostituito il comparto delle telecomunicazioni che ha dominato il panorama industriale hi-tech lombardo di fine secolo e che poteva vantare colossi del calibro di Italtel, Alcatel, Marconi, ecc.



Attualmente il panorama lombardo (e italiano) della microelettronica è dominato da STMicroelectronics che conta circa 11 mila dipendenti in Italia (48 mila a livello globale) di cui oltre 3 mila sono impegnati in attività di ricerca e sviluppo e che dispone di due impianti produttivi, uno ad Agrate Brianza e uno a Catania. La società è alla ricerca di circa mille addetti, la maggior parte dei quali da impegnare in attività di ricerca e sviluppo e nei processi produttivi presso i due stabilimenti, entrambi in fase di ampliamento. Ad Agrate sta per essere ultimato l’impianto R3, che sarà il primo sito di produzione italiano ad utilizzare wafer da 300 mm, un passo importante per aumentare la resa produttiva. Purtroppo, nonostante gli sforzi di aziende e Università, la carenza di ingegneri rischia di vanificare o perlomeno di ritardare lo sviluppo di queste nuove iniziative.

Attualmente nel nostro paese si laureano ogni anno (con laurea magistrale) circa 800÷1000 ingegneri elettronici di cui solamente 400 specializzati nei vari settori della microelettronica. Troppo pochi per le attuali esigenze e pochissimi per quelle future.

Tutti i neo ingegneri vengono assunti ancor prima di laurearsi con remunerazioni che sono mediamente del 30% superiori a quelle degli altri settori. È stata anche fatta una cifra: 40 mila euro (lordi) per un neoassunto. Uno stipendio che deve tenere conto del fatto che la mobilità in questo settore è altissima, con la possibilità per i giovani di trasferirsi facilmente all’estero dove le remunerazioni sono mediamente più alte.

Anche le possibilità di carriera sono molto interessanti, come dimostra la recente nomina a CEO di Ferrari di Benedetto Vigna, responsabile per molti anni del settore Analog/MEMS di STMicroelectronics.

Da più parti è stata sottolineata l’importanza di iniziare le attività di informazione e formazione già durante gli ultimi anni della scuola secondaria superiore, cosa che peraltro molte aziende già fanno collaborando con gli Istituti Tecnici e gli ITS. Anche le attività STEM vanno potenziate, a partire dalla scuola dell’obbligo, così come la sensibilizzazione della platea femminile. Lo stereotipo delle ragazze che non sono portare per le attività in campo ingegneristico deve essere sconfitto, anche perché lo dimostrano i fatti. Secondo Renato Martire che è intervenuto nell’evento organizzato da ANIE questa mattina, i team guidati da donne ottengono in questo campo risultati superiori a quelli degli uomini, con un particolare rispetto nel timing.

Il problema legato al capitale umano è ben presente anche ai legislatori: sia il Chips Act americano che quello europeo stanziano ingenti fondi a favore della formazione e della riqualificazione professionale. Il vero problema riguarda la disponibilità di personale specializzato nel breve periodo, necessario ai progetti in fase di completamento o che partiranno a breve. Se questa è la realtà italiana, qualcuno si è domandato dove troverà Intel il personale per la nuova fabbrica che dovrebbe sorgere nel nostro paese, e di cui si sono perse le tracce.